Si è da poco concluso a Québec City, in Canada, il vertice delle sette economie più avanzate del mondo (Business 7) che secondo la consuetudine precede di un paio di mesi e in parte indirizza il più conosciuto G7 e cioè il meeting dei rispettivi governi intenti a ricercare forme di collaborazione che rendano meno gravose le conseguenze della globalizzazione. Meno gravose perché accanto agli innegabili vantaggi che la scala mondiale ha portato alle nazioni, con un innalzamento del reddito medio e delle aspettative di vita, si sono allargati i divari tra ricchi e poveri e, soprattutto, sono venute a mancare alcune certezze del passato come quella che garantiva ai figli una vita migliore dei genitori.
Ora non è più così in Italia e in Germania, in Francia e in Inghilterra, negli Stati Uniti e in Giappone e, appunto, in Canada. I sette Paesi più ricchi del pianeta non piangono certamente, ma nemmeno possono ridere perché sono consapevoli di dover affrontare sfide nuovissime in un quadro che cambia ogni giorno dentro cornici a loro volta mutevoli.
La dichiarazione finale parla dunque della necessità di mirare a una crescita inclusiva, responsabile e collaborativa. E appare quasi un miracolo che i rappresentanti delle imprese riescano a esprimersi nella stessa lingua contribuendo a scrivere un documento comune mentre la politica non è mai stata così debole e divisa. Tra i punti cardine della risoluzione c’è il riconoscimento della persona come risorsa più importante. L’inizio e la fine di ogni processo che non può permettersi il lusso di negare la modernità, ma deve avere la forza di accettare le sfide dell’era digitale investendo in infrastrutture e, principalmente, rafforzando i caratteri di una governance globale.
Al centro dell’attenzione finiscono i temi dell’efficienza energetica, dello sviluppo armonico del commercio internazionale (proprio mentre Usa e Cina si affrontano sul terreno di pericolose tariffe doganali), della lotta all’inquinamento, della cooperazione tra pubblico e privato con il primo che sappia promuovere invece che ostacolare il secondo.
Uno spazio particolare è riservato alle piccole imprese dinamiche che sono il nerbo dell’economia mondiale e che devono essere messe nella condizione di diventare medie e grandi innovando e partecipando alle catene globali del valore. Tutto questo per generare benessere e creare quei posti di lavoro qualificati di cui si avverte ovunque un grande bisogno.
Nonostante la scarsa visibilità sul futuro, le sette principali organizzazioni d’impresa del globo restano ottimiste. E vorrebbero trasferire questo sentimento agli esecutivi che si preparano a incontrarsi in un clima d’incertezza condizionato dall’avanzare di opzioni populiste generate da un fronte largo di protesta contro le élite che prima dominavano. Il nodo da sciogliere è sempre lo stesso e riguarda la capacità di uscire dagli schemi astratti per trovare soluzioni concrete a vantaggio di popolazioni sfiduciate e in gran parte arrabbiate. Un problema che l’Italia condivide con i partner del B7 e tanti altri Paesi che sanno di non poter riuscire litigando, ma creando insieme le basi di una nuova convivenza.