Il no sindacale alla proposta di Am Investco per il risanamento e il rilancio dell’Ilva di Taranto è la spia di quello che potrebbe capitare di qui a poco se il sentimento anti-industriale del Paese da strisciante dovesse diventare palese con il rischio di una deriva che potrebbe condurci fuori della modernità.



Non importa se sul piatto della trattativa ci sono a vario titolo 4,2 miliardi d’investimenti. Non importa se questa immissione di capitali nuovi può consentire al territorio di rigenerarsi e allo stabilimento di tornare competitivo. Non importa se si salvano 14mila posti di lavoro diretti. C’è il particolare di una newco con Invitalia per traghettare un paio di migliaia di dipendenti da una condizione all’altra – senza peraltro far mancare a nessuno il sostegno di un reddito – e tanto basta a mettere in discussione l’intero impianto del programma e far saltare il tavolo.



A saltare è anche il ministro uscente allo Sviluppo economico, Carlo Calenda, che di fronte all’ennesima obiezione delle controparti (non tutte, però: Marco Bentivogli della Cisl avrebbe voluto concludere la trattativa) ha deciso di mollare la riunione rinviando il dossier al governo che verrà. Appunto. E se fosse stato proprio questo l’obiettivo dei suoi interlocutori? Se per la mente dei sindacalisti-movimentisti-ambientalisti, ecc., fosse balenata l’idea che col nuovo esecutivo a trazione 5Stelle si potrà tirare la corda più di quanto non si sia già fatto ottenendo l’impossibile?



Sarebbe un segnale molto pericoloso perché vorrebbe dire che si gioca d’azzardo senza avere in alcuna considerazione la circostanza non secondaria che la fabbrica brucia 30 milioni al mese e che a luglio terminerà la liquidità dell’azienda oggi in amministrazione straordinaria. E se la corda dovesse spezzarsi? Se gli aspiranti acquirenti – dopo aver avuto anche il via libera dall’Antitrust europeo – dovessero abbandonare il campo mandando gambe all’aria chi resiste al di là di ogni ragionevole interesse? Che ne sarà della più grande acciaieria d’Europa e del sogno del suo rilancio?

Ogni limite ha una pazienza, diceva Totò. E bisogna stare attenti a non superare l’uno e l’altra perché una cosa è solleticare la fantasia degli elettori in campagna elettorale, un’altra è trovare soluzioni concrete a casi specifici che richiedono conoscenza del problema e capacità di risolverlo. Il caso dell’Ilva è emblematico di un modo barricadero e superficiale di affrontare anche le questioni più delicate nella presunzione assoluta che i contorni di qualsiasi vicenda possano essere dilatati, compressi, modificati a piacimento senza tener conto dei vincoli oggettivi che sono presenti.

Come se bastasse enunciare per risolvere, esprimere una volontà per vederla esaudita, avanzare una pretesa perché si trasformi in realtà. Ma la realtà non è solo quella virtuale che si può manipolare a piacimento. C’è una realtà reale con la quale dobbiamo continuare a fare i conti. Che ci piaccia o no, che incontri o meno i nostri gusti, che disturbi molto o poco il nostro mondo di fiabe, c’è una realtà che richiama tutti ai doveri della responsabilità. Perché quello che oggi manca, e che dovremmo invece imparare a rispettare, è il coraggio della verità.

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