La Confindustria c’è: non perché sia immune da pecche, ma perché – se non altro – attorno a essa c’è ben poco. Dall’assemblea celebrata ieri – in un’Italia frastornata da novità politiche di difficilissima decifrazione -, dalla Confederazione degli industriali italiani è emersa una notevole riaffermazione di ruolo per un’associazione privata che più perde fiducia e rapporto con la politica nazionale, più guarda all’Europa e ai mercati. Una riaffermazione che significa: cari colleghi, aiutiamoci da soli, dialoghiamo con le istituzioni sovranazionali, agganciamoci ai mercati, e se la politica nazionale ci abbandona, andiamo avanti anche senza.



È un atteggiamento che può sembrare schizofrenico – essere italiani e anti-italiani -, ma è dettato dall’istinto di sopravvivenza. Il quadro europeo con le sue regole, comprese quelle più assurde – che per esempio ostracizzano i minibot come una pericolosa moneta alternativa mentre in tanti guardano alle criptovalute come strumenti monetari paralleli e indipendenti – rappresenta pur sempre un’ancora di salvezza rispetto a enunciati strampalati e privi di senso e sostanza come molti di quelli dei Cinquestelle.



Vincenzo Boccia, presidente della Confindustria, è una persona perbene e sa che un’impresa, tanto più se piccola o media come il 98% delle imprese italiane, non può nuotare controcorrente nell’Europa dell’euro. È europeista per forza, prima che per fede. E con lui i suoi, che pure votano Lega. Gli imprenditori votano Lega perché sanno che nelle due regioni (cui si è ora aggiunto il Friuli-Venezia Giulia) dove la Lega governa da anni dialogando con l’Europa per la gestione dei fondi comunitari, Lombardia e Veneto, che da sole rappresentano il 30% del Pil nazionale, le imprese vengono assistite e aiutate. Votano Lega perché sanno che l’Europa è guidata dai tedeschi e che sui mercati sono i tedeschi a volerci vedere morti. Votano Lega perché vantano crediti con la Pubblica amministrazione per 60 miliardi a fronte di beni e servizi venduti e mai pagati, e vorrebbero, se non incassarli, poterli utilizzare per pagare le tasse o i contributi Inps allo stesso Stato che con l’altra mano non gli paga quanto dovrebbe e non possono.



Dopo di che si ritrovano la Lega partner di minoranza di un governo guidato dai Cinquestelle, cioè da una forza politica priva di qualunque decifrabile pensiero economico e guidata da personaggi senza né storia né titoli e non capiscono più. Sentono parlare di no-Tav, no-Tap e no-Ilva, e scatta in loro il panico ancestrale per le politiche anti-industriali che periodicamente l’Italia ha spesso sviluppato, tagliando le ali a molti business, basti pensare all’industria dell’atomo, che quarant’anni fa era forte ed oggi è azzerata, o alla chimica, quasi rasa al suolo, o alla stessa siderurgia, ceduta agli stranieri… L’anti-industrialismo dei Cinquestelle li spaventa molto. E dunque si votano all’ultima speranza, “fare sistema” insieme e aiutarsi un po’ a vicenda, pur nell’individualismo che li contraddistingue.

In questo quadro psicologico, la parola d’ordine è chiara ed è un chiaro monito al nuovo governo: l’Europa andrebbe migliorata eccome, ma la si deve cambiare dall’interno. Perché mettersene fuori è di fatto impossibile. Ci si può far espellere, con conseguenze potenzialmente devastanti, però; mentre uscirsene alla chetichella, come la Gran Bretagna con la Brexit, dopo aver rinunciato sedici anni fa alla sovranità monetaria nazionale, è ridicolo. La Grecia ci ha provato con un governo, quello di Tsipras nella sua prima versione – ministro dell’Economia Varoufakis – che diceva cose molto simili a quelle dei Cinquestelle, e si ritrova oggi economicamente depressa, colonia finanziaria della Germania, devastata dall’austerity, prima di prospettive autonome. 

Certo, essere associazione oggi è difficile: per avere identità associativa bisognerebbe avere nemici individuabili e amici affidabili, mentre oggi la politica è un risotto confuso e indecifrabile. E se i governi nazionali diventano evanescenti, se i sindacati dei lavoratori perdono identità, se le ideologie si sgretolano, anche le associazioni d’impresa faticano a essere se stesse. Eppure passare per gli uffici territoriali di Confindustria resta, per moltissime imprese, l’unico modo per contare qualcosa e per capirci qualcosa. 

Se si girano le province industriali italiane è Confindustria a essere nei fatti l’unico luogo che spiega le leggi europee, che aiuta a prendere i finanziamenti europei, che affianca le imprese nel contrastare le iniquità fiscali peggiori. È Confindustria a spiegare come avvalersi dei finanziamenti per l’Industria 4.0 o a fare rete d’impresa o a esportare assicurando i propri crediti. Nell’insieme, la Confindustria è, per i suoi soci, come un coltellino svizzero: costa molto, ma ci puoi fare praticamente tutto. A saperlo usare, ovviamente: ed è quel che la gestione Boccia sta favorendo, sul territorio sono in tanti ad accorgersene.

Non i più grandi: quelli fanno da se. Luxottica è uscita? Certo, come uscì la Fiat. Dall’alto dei loro fatturati miliardari, non hanno bisogno di guide pratiche e dialogano alla pari con Bruxelles. Però stiamo parlando di dieci gruppi in tutta Italia. Peraltro dalla proprietà sempre memo italiana.