Mercoledì 23 maggio è stata una giornata particolare per l’Italia e forse per l’Europa (potremmo allargare al mondo senza sbagliare, ma ci limitiamo al Vecchio Continente, il ragionamento non cambia). Il candidato dei nuovi proconsoli Matteo Salvini e Luigi Di Maio, Giuseppe Conte, riceve dal Capo dello Stato Sergio Mattarella l’incarico di formare il governo e in occasione dell’assemblea generale di Confindustria il presidente Vincenzo Boccia svolge la sua relazione.
Non era mai capitato che questi due eventi cadessero nello stesso giorno. E non era nemmeno mai accaduto che il programma di governo dei primi – cristallizzato nel cosiddetto Contratto – divergesse così tanto dai punti ritenuti essenziali per il bene del Paese dalla più grande organizzazione imprenditoriale. Da una parte l’idea di diffondere un po’ di benessere – reddito di cittadinanza, flat tax, riforma delle pensioni – senza aver chiaro dove trovare le risorse per farlo; dall’altra, la convinzione che attentare al debito pubblico manderebbe all’aria il Paese vanificando tutti gli sforzi fatti finora per risalire la china.
Intorno all’Europa – altro argomento pomo della discordia – sembra che un aggiustamento si possa trovare. Da rivoltare da cima a fondo per Lega e 5Stelle, che però non parlano più di fughe dall’Unione e dall’euro, l’Europa è per gli industriali imprescindibile come condizione ma comunque da riformare. Anche il nodo infrastrutture va lentamente allentandosi. Perché su questa partita, decisiva per far ripartire il Paese secondo Confindustria, anche leghisti e grillini non la pensano esattamente alla stessa maniera. Anzi, l’ostilità dei pentastellati è ragione di molte sofferenze per il Carroccio che al Nord ha fatto il pieno di voti anche grazie al ceto imprenditoriale che dal blocco verrebbe penalizzato.
Insomma, si dovrà trovare un modo di fare le cose – ammesso che ci sia un serio interesse a che l’esecutivo duri – che non attenti alla stabilità del Paese e che allo stesso tempo consenta di renderlo più amico degli italiani come Salvini e Di Maio promettono. Si è giunti a questo punto per una serie di errori della vecchia guardia che, sommati, hanno determinato un risultato superiore alle stesse aspettative degli sfidanti – i partiti nuovi o che si sono saputi presentare come tali – che adesso si trovano imbottigliati tra le promesse elettorali e la dura realtà dei fatti.
Si può lavorare per farli andare a sbattere contro la loro ingenuità e il loro opportunismo (due ingredienti che certamente coesistono anche se è difficile capire in quali proporzioni) o si può cercare di limitare i danni dell’improvvisazione fornendo gli strumenti per non perdersi e perdere il Paese.
I punti cardinali fissati da Confindustria – Europa, lavoro, giovani, infrastrutture – possono funzionare da bussola per un cammino che si presenta difficile e irto di ostacoli. Superare i quali, certo, è un problema dei vincitori che si accingono a mettersi alla guida del Paese. Ma poiché in un mondo interconnesso siamo tutti legati a uno stesso destino – e abbiamo già assistito a intemerate che sono finite con l’arrivo dello sceriffo nelle vesti del Fondo monetario internazionale – dovremmo evitare di farci risucchiare nel gorgo di chi magari non ci piace e vogliamo vedere andare a fondo.