Finalmente una buona notizia per Ilva e per Taranto: l’Antitrust Ue si è pronunciata a favore dell’acquisizione di Ilva da parte di ArcelorMittal, benché sotto condizione. L’ampio pacchetto di misure correttive include l’eliminazione del gruppo Marcegaglia dal consorzio di acquisto e numerose cessioni tra cui gli impianti di ArcelorMittal di Piombino, oltre a Liegi (Belgio), Dudelange (Lussemburgo), Skopje (Macedonia), Ostrava (Repubblica Ceca) e Galati (Romania). Per Bruxelles la vendita ad ArcelorMittal di Ilva deve contribuire al risanamento ambientale di Taranto. Tutte cose che erano nell’aria e che ora sono nero su bianco.
La Commissione ha espresso il timore che l’operazione, com’era stata inizialmente proposta, avrebbe potuto comportare l’aumento dei prezzi dei prodotti piani in acciaio al carbonio laminati a caldo, laminati a freddo e zincati. La nuova entità avrebbe infatti controllato il 40% della loro capacità produttiva, arrivando a detenere una quota di mercato molto più grande di qualsiasi suo concorrente in Europa. Da qui le necessarie cessioni, ma anche l’assicurazione che gli impianti dismessi andranno “a uno o più acquirenti che li gestiranno su base duratura in regime di concorrenza”. ArcelorMittal organizzerà ora una procedura di vendita aperta, non discriminatoria e trasparente a cui potranno partecipare tutti gli operatori interessati, e questa comunicherà quindi alla Commissione gli acquirenti scelti. Bruxelles valuterà se questi dispongono della capacità (competenze, risorse finanziarie) e degli incentivi necessari per continuare a gestire e a sviluppare le attività di produzione in modo duraturo come concorrenti attivi. In altri termini, la vendita di impianti ad acquirenti che progettino di chiuderli in futuro non sarebbe per Bruxelles una soluzione accettabile.
Giusto per capire di cosa parliamo, l’Ilva di Taranto è uno dei siti più importanti del settore, con circa 15mila addetti e con 4 milioni 850mila tonnellate di acciaio prodotto nel 2017 e 5,7 milioni nel 2016. È questa una grande opportunità per rilanciare il sito produttivo di Taranto- oltre a quella di procedere con un importante piano di risanamento ambientale – e di ridare così speranza a tante famiglie in ginocchio, perché naturalmente il contraccolpo del caso Ilva sulle famiglie, sulla comunità e sulla città è stato grande.
Taranto, che oggi è una città fantasma, è vicina alla possibilità di rinascere. Ma l’intera economia italiana beneficerà di questa operazione. Risolvere questo caso significa fare il bene del Paese. Si tratta ora di trovare un accordo sul piano sindacale e di liquidare una volta per tutte il contenzioso con Regione Puglia e Comune di Taranto davanti al Tar. Confidiamo che le soluzioni verranno trovate, a vantaggio di quelle 20mila persone (indotto compreso) che rischiano di pagare, oltre al danno ambientale, anche la beffa della perdita dei posti di lavoro.
Non è ancora finita, ma non c’è dubbio che la determinazione di Carlo Calenda e delle rappresentanze sindacali Fim, Fiom e Uilm abbia contribuito a questo risultato, per quanto parziale. C’è bisogno ora che il governo faciliti l’accordo tra ArcelorMittal e le rappresentanze. Pesa naturalmente l’incertezza politica di questo momento. Ma la voglia di risolvere questo caso è più forte, anche di chi ha fatto ostruzionismo per ragioni politiche e strumentali.
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