Un discorso di buon senso, quello pronunciato dal neo ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro, Luigi Di Maio, di fronte alla platea di Confcommercio appena prima infiammata dalla relazione del presidente Carluccio Sangalli. Il discorso che ogni piccolo imprenditore o commerciante o artigiano vorrebbe sentir pronunciare.



Tanto per cominciare il leader dei 5 Stelle non promette nuove leggi e nuovi strumenti per regolare il funzionamento della categoria, ma l’esatto contrario e cioè l’alleggerimento dai tanti pesi che gravano sulle spalle di chi produce e lavora. Togliere e non aggiungere è la filosofia di governo illustrata alle migliaia di delegati stipati in sala e che hanno mostrato di gradire. Cittadini e imprese, mostra di capire l’interlocutore politico, sono stati negli anni oggetto delle più brutali attenzioni da parte di una Pubblica amministrazione ottusa se non ostile e ora non chiedono altro che essere lasciati in pace. Essere messi cioè nella condizione di svolgere il proprio mestiere senza altri ostacoli che non siano quelli già insidiosi del mercato.



In Italia – tutti sanno e nessuno ha finora fatto niente per correggere il tiro – chi non fa non sbaglia e viene pure premiato. L’esatto contrario di ciò che accade a chi si assume la responsabilità di realizzare le cose e viene punito per il solo fatto di aver compiuto delle scelte. Le quali, com’è notorio, scontentano sempre qualcuno che sa prendersi la rivalsa. Colpa anche di leggi e regolamenti mal scritti, inutilmente complicati, pensati apposta – verrebbe da sospettare – per essere interpretati a piacimento e dunque fonte d’inesauribili contenziosi. Tra questi, anche quelli di natura giudiziaria che scoraggiano i più valorosi e finiscono col premiare chi sa muoversi con spregiudicata sapienza tra commi e codici.



Tutti onesti fino a prova contraria, è la rivoluzionaria formula adottata da Di Maio che ha così capovolto (riportandolo al dettato costituzionale) il giustizialista sentire grillino che fino a ieri pretendeva di mettere in croce anche il semplice destinatario di una maldicenza. Ricostruire la fiducia nel Paese e metterla al posto della fino a ieri imperante cultura del sospetto. Vabbè, si dirà, dopo aver conquistato il potere scatenando la caccia alle streghe adesso che il potere è nelle loro mani devono per forza cambiare atteggiamento se non proprio le idee. Sarà pur vero, ma se dopo tanti anni di promesse mancate su semplificazioni burocratiche e fisco amico dovesse essere la volta buona, nessuno potrebbe o dovrebbe dispiacersi.

Anche sulle infrastrutture il ragionamento è chiaro. Si faranno perché il Paese ne ha bisogno. Soprattutto la parte del Paese dalla quale il ministro grillino proviene e che oltre al reddito di cittadinanza chiede lavoro. Lavoro dignitoso che solo lo sviluppo dell’economia e la crescita delle imprese possono assicurare per il bene dell’intera collettività.

E l’Europa? Bisogna restarci, ma cambiando le regole. Respingendo quelle che danneggiano l’Italia e assumendo quelle che la favoriscono. Smettendo i panni dell’inaffidabile ultima arrivata – come sembrerebbe quando protestiamo contro regole che abbiamo contribuito a formare -, ma prendendo l’aria e comportandoci da Paese fondatore.