Dici Ilva e a molti il nome evoca non solo un’azienda, ma un’amore. Perché Ilva, oltre a essere quel player importante che è, è da tempo una vicenda che tocca il cuore degli italiani, in primis di chi ne è alle dipendenze. Il patrimonio che rappresenta questa acciaieria è inestimabile, sia per ciò che produce, sia per il know-how che se rilanciato porterà in particolare il sito tarantino a essere la migliore acciaieria del mondo e a lasciarsi alle spalle il disastro ambientale e produttivo che la famiglia Riva – complice un sistema che ha chiuso troppo gli occhi evidentemente a fronte di uno scambio utile a tutti – ci ha lasciato in eredità. Ora però è il momento della verità, e per i 20.000 lavoratori coinvolti (indotto compreso) la possibilità di vedere un futuro è, per quanto complessa, concreta.
Ma a che punto siamo della travagliatissima storia di Ilva? Intanto, in queste ore si registra l’ennesimo incidente sul lavoro. Venerdì i responsabili dell’associazione ambientalista Peacelink sono stati ricevuti a Roma dal ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio: “Ministro, chiuda l’Ilva” è stata la loro richiesta. D’altro canto, la gestione commissariale non ha facilitato quella messa in sicurezza che solo l’investimento di Arcelor Mittal può comportare. Il colosso mondiale della siderurgia è deciso a investire in Italia, ma quanta pazienza di fronte alle lungaggini di casa nostra. Manca l’accordo sindacale, e solo questo può sbloccare la situazione. Primo perché, sul piano pratico, se c’è accordo tra azienda e sindacati – che il Mise può naturalmente facilitare intervenendo e colmando la distanza tra le Parti – tecnicamente non manca più nulla; in secondo luogo, perché l’accordo sindacale a quel punto calmiererebbe la forte agitazione degli ambientalisti.
Chi scrive, come già su queste pagine, ritiene che questo accordo ci sarà. L’azienda lo vuole, i sindacati lo vogliono (nonostante la precedente rottura con Calenda di cui abbiamo più volte spiegato le motivazioni), Di Maio lo vuole: è per lui una grossa occasione per appropriarsi di quella speranza che moltissimi lavoratori – che hanno premiato il suo movimento politico – torneranno a vivere, al di là della distribuzione dei meriti che la resurrezione di Ilva comporta.
Domani, lunedì 9 luglio, è il giorno buono per dare inizio al percorso finale verso l’accordo: al Mise sono stati convocati azienda e sindacati. Il commissariamento è stato prorogato al 15 settembre, ma prima della pausa estiva deve arrivare l’accordo. C’è il rischio, altrimenti, che la situazione sfugga di mano e diventi irrecuperabile.
Benjamin Franklin, uno dei Padri fondatori degli Stati Uniti, diceva che “ci sono tre cose estremamente dure: l’acciaio, un diamante, e conoscere se stessi”. Speriamo che l’acciaio italiano sia così duro da sopravvivere a un sistema di corruzione sui cui errori oggi si è stati costretti a intervenire. L’auspicio vero è che non se ne faccia di nuovi, almeno nell’immediato.
Twitter: @sabella_thinkin