Il caso Ilva è ormai alla stretta finale, ma la durezza della battaglia politica sta prevalendo sulle logiche dello sviluppo economico, oltre che del lavoro e dell’industria, ovvero di ciò che dovrebbe orientare le scelte del decisore politico. Che, nel caso specifico, sta facendo di tutto per non scegliere, rallentando la chiusura del caso che davamo per la fine di luglio verso la soluzione finale.
Visto ciò che è successo nelle ultime ore, è difficile prevedere quando il caso potrà risolversi (e se si risolverà). Possiamo tuttavia provare ad analizzarne gli sviluppi futuri, perché è arduo pensare che dietro il comportamento ambivalente di Luigi Di Maio, ministro dello Sviluppo economico, non vi sia un’idea di dove andare a parare.
Le cose sono due, tertium non datur: Di Maio vuole chiudere Ilva o vuole proseguire nel rilancio della siderurgia italiana? In altre parole, vuole la fine di Ilva – e quindi sta facendo di tutto per annullare la gara vinta da Mittal – oppure ciò che cerca, attraverso un gioco molto rischioso, è “soltanto” la sua affermazione politica e la sconfitta del suo predecessore?
Per quanto la base del M5S a Taranto sia molto forte e voglia la chiusura, chi scrive non pensa che questa sia la volontà del Ministro Di Maio, anche perché Ilva è un caso troppo importante perché il governo lasci decidere al solo Ministro a 5 stelle e la Lega non è per la chiusura. Di Maio, in primis, sta dimostrando ai suoi che le sta provando tutte per chiudere (prima l’Anac e ora l’Avvocatura di Stato), ma che non vi è riuscito: l’Avvocatura di Stato, che dovrebbe deliberare nel breve termine, difficilmente dirà che la gara è da annullare perché smentirebbe se stessa – essendosi già pronunciata – e andrebbe in contrasto anche con l’Antitrust Ue, anch’essasi pronunciata sulla gara vinta da Mittal. Gli indiani, in caso di annullamento della gara, potrebbero fare una richiesta di danni inestimabile. E quale credibilità avrebbe ancora il nostro Paese per gli investitori?
Tutto è possibile, ma questo scenario pare il più remoto, nonostante le parole di ieri di Di Maio: Sse la gara per la cessione dell’Ilva non è stata fatta a regola d’arte non posso mandarla avanti e devo ritirarla”. La pista più credibile, a parere di chi scrive, è che appunto Di Maio possa poter dire “io ho provato a fermare tutto ma me l’hanno impedito” che, politicamente, insieme all’assist che gli ha dato Anac non è poco, cosa che lui ha potuto tradurre con queste parole: “quelli di prima hanno pasticciato, e meno male che erano loro i competenti”.
Nel frattempo, le migliorie presentate da Mittal circa il piano ambientale hanno trovato il favore dei sindacati, ma non quello del Ministro: l’azienda si è impegnata a ridurre del 15% le emissioni di anidride carbonica per tonnellata di acciaio liquido prodotto (abbattendo rispettivamente del 30% e del 50% le polveri e le diossine derivanti dall’impianto sinterizzazione) e ha rassicurato che a Taranto, dal 2020 in poi, non ci saranno più wind days (che significa azzeramento delle polveri).
Mentre tra tweet e dichiarazioni cresce la polemica tra Di Maio e Calenda, in attesa del pronunciamento dell’Avvocatura, i sindacati sembrano uniti e decisi per affrontare l’azienda nel momento finale di questa grande vertenza, circa il problema dei livelli occupazionali. Come nell’aria, da questo punto di vista l’azienda non ha presentato migliorie. Ma per come si è messa la vicenda, questo pare l’aspetto meno problematico, nel senso che Mittal e sindacati un accordo lo troveranno. Sempre che non sia l’Avvocatura di Stato a fermare tutto. Ma ne dubitiamo. O, meglio, preferiamo dubitarne…
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