“Se il governo precedente ha posto in essere politiche che hanno dato risultati, il nuovo esecutivo commetterebbe un errore se ignorasse o addirittura decidesse di cancellare pregiudizialmente esperienze positive di politica industriale”. Massimo Carboniero, presidente dell’Ucimu, conversa con Il Sussidiario.net al termine dell’incontro su “Innovazione e Industria 4.0” nel fitto calendario di Mesharea, al Meeting 2018. Il leader dei produttori italiani di macchine utensili è tutt’altro che negativo sui trend 2018 del settore in Italia, quinto mercato interno al mondo e terzo esportatore globale: “Ci muoviamo sui ritmi dell’anno precedente, quando la produzione ha superato i 6 miliardi con un progresso vicino al 10%”.



Anche quest’anno è in azione la spinta di Industria 4.0: cosa accadrà se la legge di Bilancio non confermerà gli incentivi?

Già all’assemblea Ucimu di luglio abbiamo invitato il nuovo governo a esaminare a fondo gli sviluppi di Industria 4.0 e siamo stati confortati nel sentire, pochi giorni dopo, il ministro Tria parlare in termini positivi del piano nazionale per la digitalizzazione industriale. La creazione di valore del piano certamente è visibile nei conti delle aziende del settore, ma anche e soprattutto in termini di occupazione e investimenti nel più ampio settore manifatturiero. L’azione di politica industriale era volta soprattutto a stimolare l’intero “secondario” italiano, che non può permettersi di voltarsi dall’altra parte di fronte alla sfida competitiva globale portata da Industria 4.0. E sbaglia chi pensa che archiviare anticipatamente il piano si riduca a togliere agevolazioni fiscali agli imprenditori in un gioco di breve periodo. Nei fatti sacrificherebbe investimenti, occupazione e capacità di innovazione, e quindi allargherebbe il gap di produttività di cui l’Azienda-Italia soffre in termini ormai strutturali.



Una recente indagine promossa da Ucimu segnala che a iperammortamenti e superammortamenti ha finora fatto ricorso il 46% delle aziende italiane.

È un dato che va letto con attenzione. Da un lato, la risposta è certamente importante e soddisfacente. Dall’altro, sono evidenti anche gli spazi di ulteriore crescita di “Industria 4.0” in Italia. Anche perché altri indicatori preliminari smentiscono in maniera netta il principale argomento di opposizione politico-economica: la presunzione che la digitalizzazione distrugga posti di lavoro. Sta emergendo esattamente il contrario. Come in Ucimu abbiamo sempre sostenuto, gli investimenti in tecnologie avanzate creano occupazione, inventano posti di lavoro a più alto contenuto. Sono invece le imprese riluttanti ad abbracciare la logica di Industria 4.0 che corrono il rischio di non mantenere la propria base occupazionale, rallentando nell’innovazione e nella ricerca dell’efficienza. Il legame problematico fra Industria 4.0 e occupazione è semmai un altro: paradossale ai limiti dell’assurdo nell’Italia del 2018.



Quale?

Il successo di Industria 4.0 è confermato dalla domanda di figure professionali di profilo adeguato, che la scuola e il mercato del lavoro non riescono a offrire. Potrei citare un lunghissimo elenco di imprese – fra cui la mia e molte altre associate Ucimu – che assumerebbero subito periti industriali o meglio ancora “super-periti”, cioè tecnici di produzione davvero in grado di gestire sistemi in cui le macchine dialogano fra loro o in cui cicli produttivi e manutenzione vengono ormai controllati a migliaia di chilometri di distanza. L’Azienda-Italia ha necessità immediata di migliaia di “meccatronici”, che non trova perché nessuno li forma. E secondo me è un dramma in un Paese che ha il 33% di giovani disoccupati. Anche per questa ragione mi chiedo se il governo possa permettersi a cuor leggero di fermare un volàno che sta raggiungendo i pieni giri, che sta cominciando a creare numeri veri in campo occupazionale.

Come può essere vinta la nuova sfida della formazione?

La via sperimentata dal 2010 dagli Istituti tecnici superiori va percorsa con molta decisione. La prima potenza industriale della Ue – le Germania – ragiona nell’ordine di grandezza di 800mila giovani formati o riformati presso strutture avanzate di education professionale, fasate con le esigenze dell’industria in rapida trasformazione. Il secondo sistema manifatturiero europeo – l’Italia – ha un canale di rifornimento di risorse professionali confrontabili cento volte più piccolo. Non mi sembra il caso di aggiungere altro, se non che Industria 4.0 è stata dotata anche di un drive agevolativo sul terreno della formazione: contiamo di non veder troncata sul nascere anche un’esperienza di cambiamento ampio e di lungo periodo nel sistema-Paese.

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