Alla fine, ha vinto la ragione. O una sana paura. Il che fa lo stesso, se il risultato è che Matteo Salvini e Luigi Di Maio – novelli James Dean in “Gioventù bruciata” – si sono decisi ad abbandonare l’automobile della loro ideologia, lanciata in una folle corsa, prima di precipitare nel burrone o andare a sbattere contro un muro con tutto il carico dei cittadini italiani che si portava dietro.
Salvini con un’intervista al Sole 24 Ore (anche la scelta del mezzo è indicativa) è riuscito a portare la Lega su una posizione moderata, parlando di rispetto dei parametri europei, programma di legislatura e conseguente gradualità degli interventi, riduzione del cuneo fiscale come accompagnamento alla famosa quota 100 che rappresenta la modifica alla legge Fornero sulle pensioni.
Di Maio ha ricucito all’ultimo momento lo strappo con sindacati e lavoratori, evitando lo sciopero generale già disposto contro il governo per l’11 settembre, grazie alla chiusura dell’accordo che porta l’Ilva di Taranto nelle mani del colosso franco-indiano ArcelorMittal dopo un braccio di ferro durato mesi e con il conseguimento di condizioni più favorevoli di quelle di partenza.
Nel giro di 48 ore il panorama politico si presenta profondamente modificato. Non più promesse-minacce di sfioramento o sforamento del tetto consentito del deficit, non più la pretesa di raggiungere gli obiettivi del contratto tutti e subito, non più parole di sfida nei confronti delle imprese, non più incertezze sul futuro del sito industriale simbolo della rinascita del Sud e dell’Italia.
Si dirà, e molti osservatori hanno già detto: possiamo fidarci di un cambiamento tanto repentino? Dal governo che proprio del “cambiamento” fa la sua bandiera ci si può aspettare questo e altro. Ed è evidente che il cemento che tiene insieme due formazioni così distanti come Lega e Movimento 5Stelle è fatto di solido pragmatismo molto più di quanto non s’immaginasse.
E il pragmatismo vuole che si prenda atto delle circostanze e ci si muova di conseguenza. E se lo spread – per quanto disprezzato come indicatore – non scende al semplice abbaiare alla luna, allora conviene fare di necessità virtù e usare le formule magiche che in casi come questi danno maggiori garanzie di funzionare: i patti saranno mantenuti e l’equilibrio dei conti sarà rispettato.
Naturale che i principali interlocutori dell’esecutivo per le materie in essere, cioè gli imprenditori, guardino alla svolta con favorevole attenzione e che il loro principale rappresentante, il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, parli di “auspicabile disgelo” e di “bel segnale” per sottolineare la doppia e ravvicinata conversione dei principali azionisti del governo giallo-verde.
È la riprova che il metro di valutazione sia il giudizio e non il pregiudizio. In gioco c’è il futuro del Paese: dei suoi ceti dirigenti e dei suoi lavoratori, dei giovani e degli anziani, delle famiglie tutte che chiedono un futuro meno incerto, parole alle quali seguano i fatti, tempi rapidi e sicuri. Un programma così semplice e vasto allo stesso tempo che richiede coesione e collaborazione.
Il tempo delle torte in faccia dovrebbe essere finito.