Mercoledì scorso si svolto un importante evento confindustriale, a Torino, per parlare della linea ferroviaria ad alta velocità che dovrebbe collegare il capoluogo piemontese a Lione, in Francia. Insomma, si è parlato della tanto vituperata – da un certo tipo di politica e di stampa – Tav. All’incontro hanno preso parte una cinquantina di presidenti di associazioni di sistema e di categorie di tutte le regioni del Nord. Un segnale per dire che quella infrastruttura, che nel contratto di governo risulta tra quelle che son sospese, non riguarda solo un pezzo di territorio, ma il Paese tutto.
È un bel cambio di marcia, un’accelerazione interessante dell’affermazione del principio che non esistono tante piccole e sparute questioni industriali in Italia, ma una sola e grande Questione Industriale che è Questione Nazionale e si estende dalle Alpi alla Sicilia percorrendo l’intero stivale.
La logica unificante e inclusiva che sta dietro a questa nuova modalità di pensiero e di azione dovrebbe conferire una migliore capacità di soluzione dei problemi che, come nel caso della Tav a Torino, non riguardano la sola categoria degli imprenditori, ma tutti i cittadini, soprattutto giovani.
Saranno infatti principalmente loro a beneficiare di un Paese con infrastrutture adeguate al livello conseguito e mantenuto di seconda manifattura d’Europa, a poter far conto su investimenti in grado di tenere alta la forza competitiva delle imprese, a vivere in città sicure e ben manutenute.
Non poteva infatti mancare, nel ragionamento complessivo sviluppato, il riferimento al ponte di Genova e alla sua irrinunciabile ricostruzione in tempi certi e brevi per non aggiungere al disastro del crollo – qualunque ne sia la ragione – lo strazio dell’inconcludenza che sarebbe ancor più imperdonabile.
Con l’incontro di Torino Confindustria pone quindi con rinnovata energia il tema degli investimenti pubblici e privati e delle infrastrutture – grandi, medie e piccole – che servono al Paese perché sia connesso al suo interno e collegato al mondo esterno secondo i bisogni di una società globalizzata. Il caso dell’Ilva di Taranto, con l’approvazione da parte del 94% dei lavoratori dell’accordo raggiunto tra azienda e sindacati, dimostra che è possibile tenere insieme le ragioni di una produzione moderna con la difesa dell’ambiente e la salvaguardia della salute delle persone. E se si è trovato un punto d’incontro in una delle piazze più infuocate dello scontro ideologico tra ingresso nel futuro e rifugio nel passato (esprimendo il dovuto rispetto per chi ha subito i contraccolpi dell’inquinamento), vuol dire che una soluzione condivisa si può sempre trovare.
È con questa prospettiva che occorre sciogliere i nodi che comprimono il corpo del Paese impedendo ogni movimento che non sia uno spasimo di liberazione. Un Paese che sembra avere paura di se stesso quando, per evitare possibili complicazioni, decide di non decidere lasciandosi morire.