Venerdì 11 gennaio si è chiusa a Firenze la 95esima edizione di Pitti Immagine Uomo, la cui parola d’ordine sembra essere “green”. Alcune collezioni presentate hanno un Dna caratterizzato dal rispetto per l’ambiente e l’educazione green. La moda sembra essere ormai orientata all’etica e alla sostenibilità, una tendenza diventata esigenza sostanziale. Ci sono molti progetti per una moda green e sostenibile che prevedono, dalla scelta dei materiali al packaging, un cambiamento concreto per essere sempre più responsabili nei confronti dell’ambiente e delle persone. Un esempio è il progetto di sneakers unisex ecofriendly che impiega solo componenti ecofriendly e si pone come obiettivo, per ogni paio di scarpe venduto, quello di piantare un albero in una zona ad alto tasso di deforestazione.



Vi sono poi progetti di modelli maschili (parka, bomber, coat blazer e gilet) realizzati con tessuti che nascono dalla trasformazione di materie dannose per l’ambiente come la plastica, con l’obiettivo quindi di eliminare i rifiuti plastici dal pianeta.

Si tratta non solo di progetti che coinvolgono brand di nuova generazione, ma anche marchi established che rielaborano, in modo creativo, vecchi prodotti del brand acquistati in mercatini e negozi vintage, la cosiddetta moda “remade”.



L’innovazione tecnologica applicata all’eco-sostenibilità ha portato molte aziende della moda a utilizzare tessuti green e cruelty free, riciclati, naturali, biodegradabili o a base biologica, non tralasciando comunque l’estetica, lo stile e l’indossabilità.

Con l’obiettivo di ridurre effetti negativi sull’ambiente si promuove anche una cultura del denim più consapevole. In tal caso la tela è realizzata con impianti industriali a basso impatto ambientale, che limitano le sostanze inquinanti, riducono le emissioni di CO2 e risparmiano acqua nella produzione, mentre per la tintura si utilizzano nuove sostanze naturali, atossiche, biocompatibili e biodegradabili; oppure si utilizza come materia prima il chitosano, sostanza di origine naturale che deriva dall’esoscheletro dei crostacei, che non inquina e permette un risparmio di acqua e di energia.



Negli ultimi anni è di particolare interesse l’orientamento dell’economia verso la responsabilità sociale d’impresa, intesa come comportamento responsabile dell’azienda verso il territorio in cui opera. Si parla, dunque, di economia sostenibile, in cui l’impresa non si focalizza solo sul proprio profitto, ma orienta la propria attività verso valori etici, di tutela sociale e ambientale. Anche per le aziende di moda la sostenibilità diventa strategicamente un valore da perseguire nel proprio business.

Oggi più che mai è urgente cambiare il modello economico tradizionale, puntando a diventare imprese sempre più sostenibili, cioè capaci di coniugare il business con l’attenzione all’ambiente e al sociale, creare valore condiviso, coinvolgere gli stakeholder, collaborare al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile, i cosiddetti SDGs previsti dall’Agenda 2030 dell’Onu.

L’orientamento futuro è quello di porre le esigenze dell’uomo, e non dell’economia, al centro del mercato. Come affermava un giurista americano, E.M. Dodd, “le attività di impresa sono permesse e incoraggiate dalla legge perché sono un servizio alla società piuttosto che fonte di profitto per i suoi proprietari”. Ciò ben si sposa con l’intenzione voluta dal legislatore italiano di diffondere la consapevolezza di dover operare in maniera “sociale” e “sostenibile” con l’introduzione delle Società Benefit nel nostro ordinamento, perché le imprese che assumono la qualifica giuridica di SB sono caratterizzate dal duplice scopo di lucro e di beneficio comune.

Le aziende che strategicamente puntano sulla sostenibilità e sull’etica hanno a cuore il futuro delle prossime generazioni e quindi volontariamente decidono di operare al fine di creare dei benefici non solo dal punto di vista della massimizzazione dei profitti, ma anche di contribuire allo sviluppo e al benessere collettivo creando impatti positivi per la collettività e per l’ambiente.

Ci si augura che nel prossimo futuro gli imprenditori cambino il loro modo di percepire il mercato, venendo incontro anche alle nuove esigenze emergenti sia nel sociale, sia nell’ambiente che li circonda. Per ora, solo chi anticipa questa nuova visione imprenditoriale può avvantaggiarsi, ottenendo un vantaggio competitivo e reputazionale come pionieri di questo nuovo paradigma imprenditoriale. Perché un riposizionamento strategico dell’impresa verso la sostenibilità contribuisce alla notorietà, al miglioramento dell’immagine e all’incremento del valore del brand. E le aziende della moda sembrano andare verso questa direzione.

Il mondo della moda, a livello mondiale, comincia ad acquisire consapevolezza di come il settore tessile e della produzione di abiti incida fortemente sul cambiamento climatico con le sue lunghe catene di fornitura e produzione ad alta intensità energetica e che contribuiscono molto alle emissioni di gas serra in atmosfera.

Il 10 dicembre scorso al vertice delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici di Katowice, in Polonia, l’industria mondiale della moda ha firmato la Carta per la sostenibilità della moda, ribadendo fortemente la volontà di ridurre sensibilmente il suo impatto ambientale e l’intenzione di affrontare le questioni legate ai cambiamenti climatici. La Carta elenca le questioni oggetto di attenzione e interventi da parte dei firmatari, tra cui spiccano:

• la decarbonizzazione nelle fasi di produzione;

• la scelta di materiali sostenibili;

• modalità di trasporto a basse emissioni di carbonio;

• l’importanza di stabilire un dialogo con i clienti e di sensibilizzare i consumatori;

• la collaborazione con le comunità finanziarie e i responsabili politici con l’obiettivo di individuare soluzioni scalabili e promuovere l’economia circolare.