Oggi il Governo dovrebbe finalmente approvare il decreto sblocca-cantieri, sul quale non sono mancate delle discussioni all’interno della maggioranza. Un po’ come sulla proposta di una flat tax per le famiglie da parte della Lega o sull’intesa tra Italia e Cina che verrà siglata alla fine della settimana, durante la visita del Presidente Xi Jinping. Nel frattempo i dati sul commercio internazionale diffusi ieri dall’Istat hanno fatto emergere, per il mese di gennaio, un aumento congiunturale dell’export e un surplus che, al netto dei prodotti energetici, ha sfiorato i 3,9 miliardi di euro. Numeri da leggere con una certa attenzione, come ci spiega Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison.
Professore, anche i dati della produzione industriale di gennaio erano stati positivi dopo una fine 2018 non proprio esaltante. Come dobbiamo leggere questo rimbalzo?
Dicembre è stato un mese talmente negativo per la produzione industriale che il rimbalzo di gennaio non può avere un grande significato concreto. Per quanto riguarda l’export, invece, la variazione congiunturale nel trimestre novembre 2018-gennaio 2019 è stata pari a zero, mentre quella tendenziale di gennaio al +2,9% è a livelli più bassi del passato. Al di là di queste variazioni, tuttavia, il vero problema è un altro.
Quale?
Il commercio estero non riesce ormai, nemmeno in Germania, a dare un contributo positivo al Pil. In Italia, in tutti i trimestri di crescita che ci sono stati dal 2001 a oggi l’export ha dato un contributo significativo tendenziale alla domanda, quindi al Pil, soltanto in 6 occasioni, grazie soprattutto a un effetto indiretto: quando l’export tira molto, la produzione industriale e tutto il sistema manifatturiero ne hanno un beneficio a cascata che va al di là di quello che è il suo apporto diretto.
Qual è allora il vantaggio di avere oggi un surplus commerciale?
In condizioni di crescita normale, soprattutto in paesi senza materie prime come l’Italia, l’import cresce su base annua più o meno allo stesso livello dell’export. Quindi il vero vantaggio di avere un commercio estero vitale è che tutti gli anni il surplus riduce il nostro indebitamento privato sull’estero e ci permette di controbilanciare l’indebitamento pubblico. Auguriamoci quindi di poter mantenere sempre questo saldo positivo della bilancia commerciale, che al netto dell’energia è valso addirittura 3,9 miliardi in un solo mese.
A proposito di export, una parte del Governo, in particolare M5s, sostiene che il patto che firmeremo con la Cina aiuterà i nostri scambi commerciali. Cosa ne pensa?
Trovo che sulla Cina l’Italia abbia avuto sempre una visione parcellizzata e poco ragionata. Agli inizi degli anni Duemila la Fondazione Edison, insieme ad alcune associazioni di categoria, ha portato avanti delle battaglie che sono riuscite a limitare i danni: nei primi anni di apertura del commercio mondiale alla Cina, infatti, l’Italia è stata massacrata dall’export di Pechino e fortunatamente abbiamo ottenuto dall’Europa dazi anti-dumping temporanei o dei contingentamenti per alcuni prodotti. Un Paese di pmi come l’Italia non ha mai esportato un granché in Cina e mi sembra difficile che un accordo ora possa cambiare radicalmente le carte in tavola.
Dobbiamo essere preoccupati per questo accordo?
Oggi ci dovrebbe essere meno preoccupazione perché il made in Italy è cambiato. Nel settore moda e mobile è diventato extra-lusso, nella meccanica si è ritagliato delle nicchie: i nostri concorrenti non sono cinesi. Ci sono semmai problemi di altra natura, specie geopolitici o di sicurezza nazionale. Sembra mancare strategia, la politica estera italiana si sta rivelando un po’ contraddittoria e per certi versi improvvisata, come si è visto anche nel caso del Venezuela. E rischiamo ancora una volta di irritare i nostri partner. Su questo tema ci vorrebbe una vera analisi costi-benefici fatta bene, non come quella sulla Tav. Non ho una posizione aprioristica positiva o negativa, ma mi chiedo su quali basi si stia oggi portando avanti l’idea di un’apertura alla Cina: è stato fatto un ragionamento serio? Sappiamo cosa comporta?
Il Governo intanto sembra pronto a varare il decreto sblocca-cantieri: potrà funzionare?
Se si tradurrà effettivamente nella possibilità di far partire delle attività che sul territorio creino occupazione non potrà che fare bene, ma se si tratta di un’escamotage per far passare i soliti condoni edilizi, allora è un’altra cosa. Aspettiamo quindi di vedere nel concreto come sarà il provvedimento prima di dare un giudizio.
La Lega ha invece proposto una flat tax sulle famiglie. Cosa ne pensa?
Non ho un buon giudizio su questa flat tax, non credo potrà sortire alcun risultato pratico nel rilancio della domanda. Sui consumi delle famiglie vanno fatte politiche graduali. Questa misura non crea posti di lavoro, il cui aumento, l’abbiamo visto in questi anni con il Jobs Act e le decontribuzioni, ha contribuito a incrementare i consumi. Ci vuole una strategia che non sia elettorale, ma orientata al medio-lungo termine. Senza dimenticare il rischio di esplosione del debito che misure come questa hanno. Più che presentare ogni settimana una misura a sorpresa, o alzare la posta delle promesse, bisognerebbe capire come superare la boa del 2019 senza prendere una strambata di tali dimensioni da, per restare nella metafora velistica, far capovolgere la barca.
In questo senso vede o ha delle proposte concrete?
Ho visto emergere negli ultimi giorni una proposta per cercare di ripristinare alcune misure positive che io auspico da tempo come il super ammortamento. Le politiche economiche non si improvvisano e la storia può insegnare anche quali sono le leve che se azionate danno il risultato migliore. Se non si toccano gli investimenti infrastrutturali in maniera importante (speriamo che lo sblocca-cantieri possa funzionare realmente), gli unici due elementi che possono far crescere il Pil sono i consumi interni e gli investimenti in macchinari. Quindi il super ammortamento, il cui ripristino costerebbe davvero poco, non dico che possa salvare la situazione, ma potrebbe riportare un certo clima di fiducia nelle imprese e non azzoppare completamente gli investimenti tecnici, oltre a consentire anche di aumentare le vendite delle aziende italiane che sono leader nella produzione di macchinari.
(Lorenzo Torrisi)