L’Istat ha confermato che alla fine dello scorso anno l’Italia è entrata in recessione tecnica. Nell’ultimo trimestre 2018, infatti, il Pil è sceso dello 0,1%, dopo analoga riduzione nel terzo trimestre. C’è stato però un miglioramento rispetto alla stima iniziale diffusa il 31 gennaio, visto che allora si era parlato di un Pil in calo congiunturale dello 0,2%. La domanda interna (+0,1%), quella estera (+0,2%) e gli investimenti (+0,1%) hanno fatto segnare lievi aumenti, mentre il contributo delle scorte (-0,4%) è stato negativo. Con il segno meno anche l’andamento congiunturale di agricoltura (-1,1%) e industria (+0,5%), mentre i servizi sono cresciuti dello 0,1%. «Il quadro non è migliorato rispetto al 31 gennaio come sembrerebbe, anzi, l’analisi dettagliata dei dati mostra che le parti più dinamiche del nostro sistema, quelle su cui si poteva contare per avere una crescita negli ultimi anni, stanno praticamente esaurendo la loro corsa. Per meglio capire la situazione occorre guardare i dati tendenziali», ci dice Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison.
Quali in particolare?
Vediamo anzitutto che il quarto trimestre 2018, rispetto allo stesso periodo del 2017, ha visto una crescita zero, cosa che non si verificava da diverso tempo. Era dal quarto trimestre del 2015, infatti, che il Pil si manteneva sopra l’1% di crescita tendenziale (salvo che nel terzo trimestre 2018) e dal secondo al quarto trimestre 2017 aveva raggiunto punte del +1,7%. Essere arrivati a zero con questo score precedente è la cosa che deve preoccupare di più, perché vuol dire che l’economia è completamente ferma.
Secondo lei cosa ci ha portati a un Pil zero anno su anno?
Nel quarto trimestre 2018 i consumi delle famiglie sono aumentati tendenzialmente dello 0,5% quando l’anno prima avevano fatto segnare un +1,3%, quindi la crescita si è più che dimezzata. Ma la cosa più grave è che gli investimenti in macchinari che nell’ultimo trimestre 2017 erano cresciuti tendenzialmente dell’8,3% sono scesi a -1,1%. Siamo in presenza quindi di un afflosciamento della fiducia delle imprese, che hanno smesso completamente di investire.
C’è qualche altro dato che l’ha colpita particolarmente?
Quello riguardante l’industria in senso stretto, che tendenzialmente ha visto nel quarto trimestre 2018 una decrescita dell’1,2% quando un anno prima era cresciuta del 4,2%. Questo vuol dire che il motore industriale si è fermato e i segnali che sono arrivati l’altro giorno con le previsioni di Confindustria sulla produzione industriale a inizio anno (+0,8% a gennaio e -0,5% a febbraio) non sono incoraggianti.
Nei giorni scorsi il Governo ha presentato piani di investimenti, anche per la messa in sicurezza del territorio, e un fondo per l’innovazione: sono misure che possono aiutare a invertire la rotta?
C’è una cosa importante che il Governo può fare: ripristinare in tempi da record il super ammortamento, così che le aziende che oggi devono investire possano vedere che viene confermata una misura che può dare un minimo di fiducia. L’iper ammortamento è stato aggiustato a mio avviso bene, nel senso che si sono tarati gli incentivi per gli investimenti in tecnologie abilitanti di industria 4.0 con dei parametri decrescenti che vanno a privilegiare le piccole imprese piuttosto che le grandi. Ma spazzare via il super ammortamento è stato un errore clamoroso.
Perché?
Perché è quello che permette alla piccola impresa di comprare un tornio, una macchina tessile o per l’imballaggio. Avere cancellato questa misura vuol dire aver dato una botta notevole alle imprese più piccole che per di più, di fronte a uno scenario economico di crisi interna, di esportazioni in difficoltà per il ciclo internazionale, hanno ovviamente cancellato gli investimenti. Non bisogna poi dimenticare che un vantaggio del super ammortamento è che va a incidere su tecnologie prevalentemente italiane. Quindi non solo le imprese che fanno l’investimento si ammodernano, ma fanno aumentare le vendite di altre aziende italiane.
Ripristinare il super ammortamento richiederebbe molte risorse?
No, credo che se Di Maio e Tria si mettessero d’accordo troverebbero velocemente i fondi per far ripartire questa misura, che certo non può bastare per svoltare, ma almeno ripristinerebbe le condizioni per portare le pmi a investire. Meglio questo che gli annunci di piani su 3-4 anni che difficilmente possono cambiare la situazione in breve tempo.
(Lorenzo Torrisi)