Lunedì 11 marzo si presenterà presso Il Mattino di Napoli – in collaborazione con il Centro studi di Mediobanca e il supporto della Fondazione Matching Energies – l’Ottavo Rapporto della Fondazione Ugo La Malfa sulle imprese industriali del Mezzogiorno. Per gli amanti del genere si tratta della rassegna più completa e approfondita che si elabora nel Paese. Un vero e proprio punto di riferimento per studiosi e amministratori pubblici.
Particolarmente interessante è la rassegna delle medie imprese presenti sul territorio, il nerbo autentico dell’ordito produttivo del Paese, la vera fonte di ricchezza e occupazione su cui conviene porre maggiore attenzione, l’anello forte che congiunge le aziende di grandi dimensioni e le multinazionali alle piccole e piccolissime che affollano il panorama italiano rendendolo così caratteristico agli occhi del mondo.
Due sono le notizie principali che possiamo apprendere: una buona, l’altra cattiva. La buona notizia è che gli insediamenti meridionali non hanno nulla da invidiare a quelli del Nord per efficienza, produttività, propensione all’export. La cattiva è che continuano a essere troppo pochi, addirittura in forte calo nel periodo preso in esame (2008-2016) passando da 342 a 295 su un totale nazionale nei rispettivi anni di 4.011 e 3.462.
Il che, è vero, dimostra che la doppia crisi che ha investito l’Italia nell’ultimo decennio – e attenzione perché la terza è dietro l’angolo – ha falcidiato il campione al Centro-Nord come al Sud. Ma qui, dove la presenza era già rarefatta soprattutto se messa a confronto con la popolazione, il fenomeno si fa sentire con maggiore intensità. Non a caso si registra anche una forte caduta dei posti di lavoro. È a questi campioni dell’italianità, del Made in Italy, delle cose belle e ben fatte, che la politica dovrebbe prestare maggiore attenzione perché le risposte che cerca le può trovare in massima parte proprio dentro e fuori i loro cancelli. La media dimensione coniuga infatti la funzione imprenditoriale con l’impegno sociale dando vita a un inestricabile e virtuoso intreccio d’interessi che fertilizza l’ambiente circostante.
Non ci potrà essere riscatto del Mezzogiorno senza riportare al centro delle politiche locali e nazionali la questione della sua rinascita industriale. Non ci potrà essere una risposta ai giovani che abbandonano le loro città per cercare fortuna altrove, magari dopo anni di studi fruttuosi, mentre da dove partono arrugginiscono i vecchi impianti non rinnovati. Non ci potrà essere futuro senza tornare a investire.
Il Reddito di cittadinanza non può essere una resa, una misura alternativa alla ripresa industriale, una fuga dalle responsabilità. Al di là degli aspetti elettorali e demagogici può servire a mettere una toppa al tessuto che si sfilaccia, ma non può sostituire quel tessuto. Per cui se il Reddito dev’essere, com’è auspicabile, un ponte verso il lavoro è questo che occorre procurare senza indugio.
Certo, il quadro si complica per via delle pulsioni autonomiste delle Regioni ricche – che cercano di risolvere i loro problemi con la semplificazione dell’egoismo -, ma non è questa una buona ragione per arrendersi. Al contrario, è il momento di dimostrare che la pretesa capacità creativa dei meridionali non è un luogo comune (peraltro contestato), ma un’attitudine che sa tradursi in fatti.