Il dato più preoccupante lo riferisce il presidente di Unioncamere Andrea Prete: a fronte di un fabbisogno di 9 gigawattora da installare ogni anno fino al 2030 per mantenere gli impegni assunti in materia di energie rinnovabili, nel 2022 in Italia ci si è fermati a 3. Appena un terzo, dunque. In Germania siamo a 11, in Spagna a 6. La ragione? I soliti insormontabili incagli burocratici.
La presentazione del quattordicesimo rapporto Greenitaly (per un’economia a misura d’uomo contro le crisi) che il sistema camerale prepara con Symbola (fondazione per le qualità italiane) è l’occasione per fare il punto sul cammino del Paese verso gli obiettivi virtuosi di imprese e pubbliche amministrazioni per la costruzione di una società più giusta e sostenibile.
E, quindi, più meritevole di futuro come ama ripetere Ermete Realacci – che di Symbola è animatore e presidente – rilanciando l’invito fatto qualche giorno fa da Giuseppe De Rita sul Corriere della Sera perché ci si abitui a prestare maggiore attenzione alle cose belle di cui siamo capaci. Non per nascondere ciò che non va, naturalmente, ma per mostrare un aspetto più veritiero della realtà.
E, allora, se è vero che sull’installazione di impianti per ricavare energia pulita da sole e vento scontiamo un grande ritardo dovuto alla pesantezza di leggi e loro applicazioni è anche vero che nel campo dell’economia circolare siamo i primi in Europa dal momento che ricicliamo l’83,4 per cento dei rifiuti (urbani e speciali) contro una media dell’Unione del 52,3 per cento.
Potrebbe sembrare un traguardo da poco se messo a confronto con le altre grandi sfide che il particolare momento storico ci pone, ma non è affatto così perché si dimostra ancora una volta come sia spiccata la nostra capacità di fare di necessità virtù. Privi di materie prime come siamo (oltre che di fonti energetiche tradizionali), abbiamo imparato prima e meglio degli altri l’arte della trasformazione.
Questo risultato è figlio di una precisa scelta delle imprese che per il 35 cento – più di una su tre, sottolinea il rapporto Greenitaly – ha investito in soluzioni ecocompatibili nei cinque anni che vanno dal 2018 al 2022 migliorando così la propria forza competitiva. Rispetto dell’ambiente e incremento del fatturato, magari anche per la conquista di nuovi mercati, vanno a braccetto.
La notizia, forse non nuova ma certamente sottostimata per l’impatto che può avere sulle prospettive del nostro apparato produttivo e quindi della ricchezza nazionale, si collega alla contestuale attivazione di 3,2 milioni di posti di lavoro qualificabili come verdi: il 13,9 per cento degli occupati totali, si legge nella nota, con un forte andamento al rialzo che non dovrebbe fermarsi.
Un dato interessante riguarda la partecipazione al fenomeno di tutte le macroaree del Paese. Se lo scorso anno le assunzioni per mansioni green sono cresciute del 13,5 per cento nel Nord-Ovest, del 14,1 per cento nel Nord-Est e del 15,9 per cento al Centro, il Mezzogiorno ha fatto registrare un più 11,2 per cento che è sì sotto la media, ma non lo taglia fuori dal rinnovamento in atto.
Per gli amanti delle classifiche, le prime venti province per numero di imprese e loro incidenza sul totale territoriale che hanno investito in tecnologie green nell’ultimo quinquennio sono nell’ordine Roma, Milano, Napoli, Torino, Brescia, Bari, Bologna, Bergamo, Padova, Firenze, Verona, Salerno, Treviso, Vicenza, Catania, Genova, Venezia, Caserta, Palermo, Modena.
Passando alle Regioni, la stessa graduatoria per numero d’imprese in piena evoluzione verde mostra in fila – dalla prima all’ultima – Lombardia, Veneto, Campania, Lazio, Emilia-Romagna, Piemonte, Sicilia, Toscana, Puglia, Sardegna, Calabria, Marche, Liguria, Trentino Alto Adige, Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Basilicata, Molise, Valle d’Aosta.
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