Binge drinking, bere quanto più alcool si può nel minor tempo possibile, sbronzarsi. È la nuova emergenza tra i preadolescenti, quelli – per intenderci – tra i dodici e i sedici anni. A dirlo è l’ultima relazione del ministero della Salute al Parlamento, ma anche numerosi casi di cronaca che rendono sufficientemente chiara la situazione, come quel dato – sconvolgente – della ragazzina trovata in coma etilico a dodici anni a Bolzano, con un tasso alcolemico nel sangue del 2,65: un dramma che potrebbe presto iniziare a generare tragedie.
Il mondo dei preadolescenti non è facile, sta cambiando rapidamente ed è tra quelli più difficili da descrivere per le sue molteplicità di problematiche. Quel che è certo è che l’età di quello che una volta si chiamava ginnasio dovrebbe avere, tra le altre, tre caratteristiche fondamentali per la crescita e la formazione dell’identità del ragazzino: l’esperienza del confine e della sua trasgressione, un momento determinante per prendere coscienza di sé e delle proprie capacità, della propria individualità maschile o femminile in quanto è il rapporto col proibito a rompere il legame simbiotico con la propria infanzia e a permettere, ai ragazzetti delle medie o del biennio delle superiori, l’inizio di un nuovo cammino; in secondo luogo è fondamentale l’esperienza del dare il nome alle cose, soprattutto alle cose interiori, imparando a nominare emozioni, pensieri e azioni così da avere un bagaglio strutturato e coerente con il quale affrontare la vita; infine esperienza fondamentale è quella dell’esplorazione, la curiositas insita nello scoprire e nel determinare cose nuove, nello stabilire distanze e vicinanze con le nuove persone protagoniste della propria vita.
Esplorare, trasgredire, nominare sono tre processi “naturali” della persona che per essere pienamente vissuti necessitano di un adulto legislatore, una persona più grande e autorevole che non abbia paura di perdere il legame con il ragazzo, ma lo sfidi ponendo limiti e regole che già sa che saranno superati. Un adulto che non sia uno stratega dell’educazione, ma una presenza curiosa di veder sbocciare i doni e le energie del Mistero nella piccola vita che ha davanti.
Senza un rapporto così l’esplorazione, come la trasgressione o il dare un nome diventano aziono vuote, fini a se stesse, in cui perfino l’inerme ragazzino si butta, ignaro del motivo e del perché certe emozioni lo solletichino e lo provochino di più. Senza un rapporto con un adulto il bambino è come se avesse a che fare con la sorpresa dell’ovetto – la vita – privo di un foglietto delle istruzioni da cui partire per dare un ordine e un senso al tutto.
È strano come in natura anche l’errore, la provocazione, la sfida, debbano essere poste in un alveo per portare frutto e diventare fonte di maturità e di crescita. Non è mai troppo tardi per fermare la tragedia dei nostri figli. Il punto è tornare a fare i genitori, senza paura di perdere chi amiamo solo perché doniamo loro l’occasione di emergere e di affrontare davvero la realtà.