La “quarta mafia” italiana finisce sulle colonne di Le Monde. A prendersi la scena sono i nuovi clan criminali che stanno esercitando la loro influenza in Puglia. Dopo Cosa nostra in Sicilia, la camorra a Napoli e la ‘ndrangheta in Calabria, c’è una nuova emergenza nazionale su cui ha realizzato un approfondimento il quotidiano francese. Non si tratta della Sacra Corona Unita, altra organizzazione mafiosa, ma frammentata seppur ancora attiva, la cui influenza si concentra nel ‘tacco’ dello stivale italiano, nella Puglia meridionale. Il quotidiano, dunque, parte dalla strage di San Marco in Lamis del 9 agosto 2017, in cui sono morte quattro persone a raffiche di kalashnikov, tra cui Mario Luciano Romito, boss dell’omonimo clan, e suo nipote Matteo De Palma. Pochi giorni prima il procuratore antimafia di Bari, Giuseppe Volpe, aveva inviato una lettera alle più alte cariche dello Stato italiano, confessando di sentirsi abbandonato e mettendo in guardia dal sangue che rischiava di coprire il nord della Puglia se i clan avessero continuato a dettar legge nella totale impunità. Eppure, era già troppo tardi, come ha dimostrato quell’agguato.



Quasi sei anni dopo, quella strage è ancora senza colpevoli. Ma in quell’agguato morirono due persone, due agricoltori, Aurelio e Luigi Luciani, che non c’entravano nulla con la mafia pugliese. Due “vittime collaterali“, come si tende a chiamarle. “La mafia è entrata in casa mia il 9 agosto 2017. Il dolore è mio, ma la tragedia riguarda tutto il territorio. Abbiamo distolto lo sguardo per troppo tempo. Dobbiamo parlare. Anche se a qualcuno non piace“, dichiara la vedova Arcangela Petrucci, professoressa di filosofia, a Le Monde. A proposito di quel “qualcuno”, la donna ha ricevuto minacce di morte. Nell’estate del 2022, una decina di ettari dei campi ereditati dal marito sono stati dati alle fiamme, in piena stagione di raccolta dei pomodori, senza che nessun testimone osasse farsi avanti. “Le persone si sono abituate a vivere nella paura. Ma la morte di mio marito è utile perché ha portato alla luce una situazione insopportabile. In una notte siamo passati dal parlare di delinquenti che si ammazzano a vicenda a una nuova mafia“.



LA QUARTA MAFIA PUGLIESE: IL FOCUS DI LE MONDE

La mafia di cui parla la donna è senza nome, per questo viene semplicemente chiamata “quarta mafia“. Non perché meno pericolosa di Cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta. Quella foggiana è una mafia “primitiva“, che ricorda la Calabria degli anni ’80 e la Sicilia degli anni ’70. “I mafiosi qui apprezzano armi potenti, sfigurano, smembrano corpi. Non si tratta di intimidazioni fini, ma di azioni di impatto“, racconta Michele Miulli, comandante dei carabinieri della provincia di Foggia, a Le Monde. C’è un richiamo alla Sicilia nell’uso della lupara (fucile a canne mozze), presente anche la propensione a far sparire i cadaveri. I corpi vengono disciolti nell’acido, dati in pasto ai maiali. Non è sicuramente una mafia di fiscalisti, dalle ramificazioni complesse. Ma si preoccupano di metter le mani sugli aiuti finanziari dell’Ue, si infiltrano nei lavori pubblici o nel settore sanitario, impongono “tasse” su commerci o raccolti. La “quarta mafia” non si preoccupa neppure dei bambini, infatti negli ultimi anni diversi sono stati vittime collaterali di regolamenti di conti.



Ma ha delle “specialità” locali, a seconda delle zone criminali, illustrate da Le Monde. Cerignola viene descritta come la “roccaforte di gruppi diventati maestri di attentati con esplosivi contro convogli di denaro e di furti di automobili poi rivendute in pezzi di ricambio in tutto il Paese”. Nel Gargano c’è il traffico di droga, con la cannabis coltivata in loco. A San Severo e Foggia c’è la propensione ad estorsioni e prestiti usurari. Neppure San Giovanni Rotondo, la città di pellegrinaggio dei fedeli di Padre Pio, è sfuggita all’influenza dei clan, anzi è stata a lungo usata come deposito di cocaina, stando a quanto emerso dalle indagini. “La quarta mafia non ha una ‘cupola’, è una sorta di struttura federativa, fatta di gruppi giustapposti“, spiega Paolo Iannucci, capo della Sezione di Foggia della Dia, a Le Monde. Ogni clan cerca di ottenere influenza e entrate in questo territorio di conquista.

“HO DENUNCIATO, MA SONO ANCORA SOLO”

Questa mafia è nel mezzo di un periodo di riassestamento, perché molti boss sono stati incarcerati sotto il regime più severo, dopo numerosi processi su vasta scala“, aggiunge Paolo Iannucci. Qualche segnale di reazione lo ha mostrato il tribunale di Foggia, in particolare il procuratore generale Ludovico Vaccaro, che al giornale francese ha sciorinato diversi numeri: oltre 13mila processi in attesa di udienza, oltre 6mila fascicoli di indagine, 40mila reati all’anno. “Le carceri sono piene, il tasso di recidiva è del 70%“. Per Vaccaro è una lotta contro il tempo, perché la quarta mafia uccide, ma nessuno denuncia né testimonia. Uno dei pochi abitanti che ha avuto il coraggio di parlare è Lazzaro D’Auria, sotto scorta dal giugno 2017, quando ha denunciato il boss mafioso che lo aveva minacciato per non aver versato la cosiddetta “tassa di sovranità“, 150mila euro annui. “La cosa più difficile per me oggi è la burocrazia. Banche, assicurazioni… Non solo sono un ‘morto che cammina’, ma sono anche penalizzato a causa del ‘rischio criminale’ che spaventa i creditori!“. Oltre al danno, la beffa.

Nel frattempo, continua a subire danni e ritorsioni dalla quarta mafia. “Quando ho fatto la mia denuncia ero orgoglioso, è stata una cosa bellissima. Pensavo di essere un simbolo perché gli altri facessero come me. Ma, cinque anni dopo, sono ancora solo“. Le estorsioni ormai sono routine: l’80% delle imprese pagano il ‘pizzo’. C’è poi Foggia, dove la criminalità locale si è inizialmente infiltrata nel settore delle imprese funebri per poi puntare anche all‘amministrazione comunale. Infatti, dall’estate 2021 Foggia non ha più un sindaco. La città è il quinto comune della provincia sciolto per infiltrazioni mafiose. Diverse inchieste hanno segnalato come la quarta mafia abbia allacciato contatti con gruppi balcanici e non abbia mai tagliato i pinti con le altre mafie italiane, loro socie in affari. “È impossibile fare conti precisi dei loro redditi, ma i sequestri si contano in decine di milioni di euro, paragonabili alla ‘ndrangheta, con la quale ha legami, proprio come con la camorra o la mafia albanese“, afferma Roberto Rossi, procuratore antimafia di Bari.