Forse Jackson Browne per “Of Missing Persons” aveva scippato il titolo a una short story datata 1955 dello scrittore del Wisconsin Jack Finney, specializzato in racconti di fantascienza. O forse no. Stiamo sulla realtà. In un brano dei Little Feat, “Long Distance Love”, che nel 1975 concludeva il quinto album della band di Lowell George, le prime parole erano “Hey, hello, give me missing persons they said, ‘What is that you need?’.



“Una sera a casa mia” – ha raccontato Jackson durante un concerto nei primi anni Settanta in coppia con David Lindley“Lowell era così ubriaco che dovette arrangiarsi. In moto non ce la faceva a tenere il manubrio e un sacchetto di audio cassette che aveva con sé. Lasciò i nastri, contenevano dei provini, ne suonai uno a caso e scoprii Long Distance Love”.



 Jackson Browne e Lowell George sono stati grandi amici. Due figli della California, nati a due anni di distanza l’uno dall’altro. Jackson appena adolescente scriveva già “These Days”, un capolavoro finito poi nelle mani di Tom Rush, Nico e Greg Allman oltre che nel suo secondo album del 1973. Lowell alla high school imparava a suonare la chitarra, il sassofono, il sitar e lo shakuhaki, un flauto orientale in bambù.

Dalle loro parti, quando furono un po’ cresciuti e scrivere canzoni a ovest era diventato il loro mestiere dopo incontri importanti per entrambi (New York, il giro di Warhol per Browne, l’avanguardia e Frank Zappa per George), ogni tanto si facevano vedere Warren Zevon, un tipo imbronciato e tosto con una testa di riccioli biondi, la cantante Valerie Carter, bellissima, occhi azzurri e voce soul, e il succitato polistrumentista David Lindley, ex Kaleidoscope, un talento unico per come toccava le corde e per come si vestiva, camicie e pantaloni sgargianti, possibilmente in polyestere, quello che scrocchia. Le basette e le scarpe di vernice bianca, poi, tutto un programma.



Suonavano, scrivevano insieme, quei tipi lì, creavano meraviglie da riversare, sparse, nei loro dischi. Jackson produceva Warren, Lowell produceva Valerie e toccava la slide guitar da Dio, David suonava per tutti, e anche il suono della sua slide e del suo violino facevano piangere.

Quando George mori, ad Arlington nel giugno del 1979, Jackson anziché piangere (o dopo aver pianto moltissimo) mandò un pensiero musicale a Inara, la figlia del suo amico dagli occhi a mandorla, il più inafferrabile di tutti, quello che si faceva di speedball e di pizza e il cui cuore a un certo punto non ce l’aveva fatta più. Raccolse le idee e le lacrime, mise su “Long Distance Love”, la canzone dell’amore tra chi non può stare fianco a fianco, e scrisse “Of Missing Persons”. Nell’estate del 1980, quando la canzone venne pubblicata su “Hold Out”, il sesto album di Jackson Browne, Inara aveva appena compiuto sei anni.

“Tuo padre era un girovago tuttofare, suonava il rock’n’roll, un giocoliere mascalzone dall’anima zingara / La musica era il suo angelo, il dolore la sua stella / Noi che rimaniamo vorremmo essere capaci di tanto”.

Ascolti e ti manca il respiro se conosci la storia. Jackson canta affranto ma con la dolcezza che lo contraddistingue, Lindley accarezza quel dolore con la sua slide, che suona incessantemente, appare e scompare, come quando vai a un funerale, saluti qualcuno, poi ti confondi dietro una colonna della chiesa per restare solo con i tuoi pensieri.Lo stesso tocco lo avevamo ascoltato sui dischi di Crosby e Nash, di Zevon, Linda Ronstadt e Ry Cooder. E si sarebbe ripresentato più avanti per Bob Dylan e Bruce Springsteen.

“David Lindley” – ha scritto Rolling Stone poche ore dopo la sua morte, avvenuta il 3 marzo scorso – “non ha solo accompagnato le leggende rock di Los Angeles, ha plasmato il suono di un’epoca”.

Negli anni Settanta Browne ha perso la moglie e un caro amico. Furono scenari tragici quelli che se li portarono via. Arrivarono a commento, e consolazione,  “Here comes those tears again” e “For a dancer”. Oggi che Lowell George, Warren Zevon, Valerie Carter, David Crosby e David  Lindley sono altrove a cantare le loro melodie, pensi che quell’epoca è davvero finita, che quella morbida California non è più raggiungibile, nemmeno col pensiero. Non può essere di conforto che nessuno abbia saputo trasformare le tragedie in musica sublime come ha fatto con alcune sue canzoni Jackson Browne (che dieci giorni fa aveva perduto il tastierista Jeff Young, stabile nella sua band dal 1995).

O forse sarà la sua prossima canzone ad accarezzarci ancora una volta.

“Let the music keep our spirits high”.

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