285,66 euro mensili, previsti dalla legge per le persone totalmente inabili al lavoro per effetto di gravi disabilità, non sono sufficienti a soddisfare i bisogni primari della vita. È perciò violato il diritto al mantenimento che la Costituzione (articolo 38) garantisce agli inabili. Lo ha stabilito la Corte costituzionale nella camera di consiglio esaminando una questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’appello di Torino, che già in passato ha ritenuto l’assegno dei pensionati invalidi al 100% previsto dalla normativa vigente “insufficiente a garantire il soddisfacimento delle elementari esigenze di vita” e che già aveva sollevato il caso definendo non corretta la differenza d’importo tra la pensione di invalidità (286,81 euro) e l’assegno sociale (459,83 euro).



Il caso che ha dato origine alla sentenza nasce da una persona affetta da tetraplegia spastica neonatale, incapace di svolgere i più elementari atti quotidiani della vita e di comunicare con l’esterno. La Corte ha ritenuto che un assegno mensile di soli 285,66 euro sia manifestamente inadeguato a garantire a persone totalmente inabili al lavoro i “mezzi necessari per vivere” e perciò violi il diritto riconosciuto dall’articolo 38 della Costituzione, secondo cui “ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”. È stato quindi affermato che il cosiddetto “incremento al milione” (pari a 516,46 euro) da tempo riconosciuto, per vari trattamenti pensionistici, dall’articolo 38 della legge n. 448 del 2011, debba essere assicurato agli invalidi civili totali, di cui parla l’articolo 12, primo comma, della legge 118 del 1971, senza attendere il raggiungimento del sessantesimo anno di età, attualmente previsto dalla legge. Conseguentemente, questo incremento dovrà d’ora in poi essere erogato a tutti gli invalidi civili totali che abbiano compiuto i 18 anni e che non godano, in particolare, di redditi su base annua pari o superiori a 6.713,98 euro.



La Corte ha stabilito che la propria pronuncia non avrà effetto retroattivo e dovrà applicarsi soltanto per il futuro, a partire dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta Ufficiale. Resta ferma la possibilità per il legislatore di rimodulare la disciplina delle misure assistenziali vigenti, purché idonee a garantire agli invalidi civili totali l’effettività dei diritti loro riconosciuti dalla Costituzione. Dunque se sono troppo bassi gli importi attuali, vi sarebbe di conseguenza una modifica sostanziale degli importi stabiliti per legge e l’eventuale aumento degli assegni delle pensioni di invalidità totale potrebbe pesare in maniera significativa sulle casse dell’Inps.



Regna una confusione totale sulla materia delle pensioni e riteniamo utile dare alcune informazioni su tutte le tipologie.

Pensioni previdenziali

vecchiaia: è il trattamento a cui ha diritto chi ha raggiunto l’età pensionabile (indicata dalla legge) ed è in grado di far valere il requisito minimo di anzianità di servizio richiesto (ora 20 anni).

anzianità: è un trattamento di vecchiaia anticipato (early retirement). All’origine era solo una pensione a base contributiva che prescindeva dall’età anagrafica del soggetto (35 anni di versamenti effettivi e figurativi nel lavoro dipendente  privato e autonomo; 25 anni per il personale degli enti locali e sanità, 20 anni per gli statali; ulteriori decurtazioni erano previste per le dipendenti pubbliche coniugate e con prole). In seguito, dopo una serie di interventi di carattere emergenziale e temporaneo, sono stati introdotti, a partire dal 1996, requisiti anagrafici.

invalidità: è il trattamento riconosciuto al lavoratore che, in conseguenza di infermità o difetto fisico, perde in parte la capacità lavorativa in attività confacenti alle proprie attitudini (legge n.222/1984).

inabilità: è il trattamento riconosciuto al lavoratore che, in conseguenza di infermità o difetto fisico, perde totalmente (al 100%) la capacità lavorativa in attività confacenti alle proprie attitudini (legge n.222/1984).

superstiti: è il trattamento riconosciuto agli aventi diritto (perché a suo carico) del lavoratore o del pensionato defunto.

Pensioni indennitarie

Rendite per infortuni sul lavoro e malattie professionali e pensioni di guerra comprensive degli assegni di Medaglia d’oro. La caratteristica di queste pensioni è di indennizzare la persona per una menomazione, secondo il livello della stessa, o per morte (in tal caso la prestazione è erogata ai suoi superstiti) conseguente a un fatto accaduto nello svolgimento di un’attività lavorativa. L’entità della prestazione non è correlata agli anni di versamento contributivo, bensì è funzione del danno subito e della retribuzione percepita.

Pensioni assistenziali

Prestazioni costituite da pensioni di guerra, ai non vedenti civili, ai non udenti civili e agli invalidi civili e dalle pensioni o assegni sociali ai cittadini ultrasessantacinquenni, sprovvisti di reddito o con reddito insufficiente. La caratteristica principale di queste pensioni è di garantire un reddito minimo a persone incapaci di procurarselo a causa di menomazioni congenite o sopravvenute o semplicemente per età avanzata. Si tratta, in ogni caso, di pensioni non collegate ad alcun sistema di contribuzione. Sono incluse, nell’aggregato, anche le indennità di accompagnamento (che peraltro non sono pensioni) corrisposte come sostegno per l’incapacità di attendere agli atti della vita quotidiana propri dell’età.

Pensioni di benemerenza

Assegni vitalizi e a ex combattenti insigniti dell’ordine di Vittorio Veneto e assegni di Medaglia e Croce al valor militare. Si tratta, in ogni caso, di pensioni non collegate ad alcun sistema di contribuzione.