Sono in arrivo 420 milioni di incentivi per comprare auto e furgoni nuovi e, a rigor di logica, a caval donato non si dovrebbe guardare in bocca. In realtà, a parte l’affastellarsi di diversi livelli di sconto basati su parametri discutibili che creano non poca confusione, quello che lascia perplessi è la logica che ci sta dietro, ovvero la convinzione che tutti gli automobilisti dovranno passare all’auto elettrica, indipendentemente dalla loro volontà, dai problemi tecnici e dai loro bisogni di mobilità. Su questa base le contraddizioni si sprecano.
Ad esempio, è previsto un bonus fino al 40% per acquistare un’automobile elettrica che abbia un costo massimo di 30mila euro per chi ha un Isee inferiore ai 30mila euro. Una bella cifra considerando che l’auto elettrica più venduta in Italia, la Renault Zoe, costa come minimo 27mila euro e quindi si può ottenere uno sconto di 10mila euro. Ma quanti single o famiglie con un Isee così basso (escludendo evasori e lavoratori in nero) possono comunque permettersela? E nel caso potessero permettersela, siamo sicuri che sceglierebbero un’auto elettrica e non un’auto con motore termico che gli costerebbe più o meno la stesso soldi?
È come se dalle parti del Parlamento sapessero più dei diretti interessati, gli automobilisti, cos’è meglio per loro, cosa devono scegliere, cosa devono guidare. Ma in questo modo non funziona. O meglio funziona male perché si allocano risorse non guardando la realtà. Una realtà già ampiamente dimostrata dagli incentivi messi in campo nel 2020: quelli per le auto termiche sono finiti in una settimana, qualche mese sono durati quelli per le auto ibride, mentre quelli per i veicoli elettrici sono terminati in zona Cesarini, qualche giorno prima della fine dell’anno con, ne siamo certi, il contributo attivo dei concessionari che immatricolando beneficiavano degli stessi incentivi dei loro clienti.
Insomma, prima di legiferare bisognerebbe aver ben chiari gli obiettivi che si vogliono raggiungere e considerare la realtà. Per incrementare in maniera significativa il numero di auto elettriche occorre aumentarne l’autonomia e ridurre i tempi di ricarica. Per farlo l’unica cosa che può fare lo Stato è finanziare le ricerca pubblica e privata, anche quella delle case automobilistiche. Nello stesso tempo dovrebbe far aumentare in maniera significativa il numero delle centraline pubbliche e cominciare a guardare lontano incrementando la capacità del Paese di produrre energia elettrica pulita a costi bassi. Se, invece, si vuole dare una mano a un settore importante come quello automobilistico che vale il 6,2% del Pil italiano, si dovrebbe puntare di più sulle auto con motore termico, magari anche solo portando a livelli europei la possibilità di dedurne i costi per le partite Iva e le imprese. Le vendite aumenterebbero e gli incentivi o il minor incasso fiscale verrebbero ampiamente compensati dall’aumento delle entrate Iva.
Un altro obiettivo potrebbe essere quello di abbattere l’inquinamento nelle città e, allora, in questo caso si potrebbe incentivare l’acquisto di auto usate Euro 6. Perché, al di là delle considerazioni politically correct, le vecchie auto euro 1 o 2 che girano nelle nostre città appartengono a due categorie di persone: anziani che fanno pochi chilometri all’anno inquinando poco o nulla e persone che non possono permettersi di comprare un’auto nuova. Neanche con gli incentivi. Dare a questi ultimi la possibilità di rottamare la propria vettura che magari ha una ventina d’anni sulle spalle e cambiarla senza spendere grosse cifre è l’unica soluzione possibile per far sparire i vecchi catorci inquinanti dalle strade. Mentre gli incentivi sulle auto nuove hanno da sempre due caratteristiche: concentrare nel periodo sovvenzionato vendite che ci sarebbero comunque state in un lasso di tempo solo di poco più ampio e aiutare chi, in fondo, non ne aveva neanche troppo bisogno.