Quale affidabilità avranno gli aerei sempre più sofisticati, che dovranno garantire spostamenti sempre più rapidi nel futuro? Continuiamo la chiacchierata con Gianni Guiducci, un grande esperto di aviazione civile. Se il futuro è abbastanza tracciato, come ci ha detto nella prima parte dell’intervista, si tratta ora di vedere quali rischi ci sono e verranno eliminati in un mondo dove volare, fare colazione e poi dormire passando da una sponda all’altro dell’Atlantico, solo per fare un esempio, diventerà una prassi comune.



Posso permettermi una domanda storica? Di tutti gli aerei che lei ha guidato e che ha portato in giro per il mondo quale ricorda con maggiore “affetto”, se si può usare una parola di questo tipo con un pilota?

In realtà, dei 112 di cui ho avuto il Type-rating, direi due: uno è un vecchio monomotore sul quale ho volato all’inizio; l’altro è il Boeing 737 (300-400), che ritengo sia estremamente flessibile e affidabile. Aggiungo che era ancora non eccessivamente elettronico e più vicino alla mia formazione. Era un purosangue di cui amavo tenere le redini.



Questa è una curiosità storica. Quindici anni fa a Parigi si schiantava sulla pista il Concorde, un aereo famoso che raggiungeva l’altra sponda dell’Atlantico in poco più di tre ore. Quell’incidente ha bloccato i piani per la realizzazione di un aeromobile con una maggiore velocità di volo? Quali altri aerei sono stati, alla lunga, una delusione rispetto alle aspettative dell’aviazione civile?

Riguardo alla prima domanda: sono continuati studi riguardanti aerei supersonici di linea, se ne sente la necessità. Esistono passeggeri che avrebbero l’esigenza di spostarsi tra Europa e Stati Uniti in poche ore, ciò permetterebbe loro di effettuare la giornata lavorativa da una parte dell’Atlantico e proseguire il lavoro dall’altra parte con continuità. Ci sono studi avanzati anche per macchine più piccole in dimensioni (executive) ancor più richieste da tali tipi di passeggero.



E sugli aerei che hanno deluso le aspettative?

Sarà perché amo gli aerei, ma ho solo presente quelli che ne hanno fatto la storia. Scusate.

Lei, comandante Guiducci, è sempre legato al lavoro che ha fatto nella sua vita. Si occupa ancora dei piloti e chiede loro, online, delle domande sul comportamento nei momenti diversi del volo. Sono in molti a rispondere alle sue domande? Sono interessati? È utile e istruttiva questa attività? Ed emerge qualche cosa di nuovo in questo colloquio elettronico?

All’età di sei anni salii a bordo di un piccolo monomotore grazie a un amico di mio padre. Rimasi così affascinato che, tutto sommato, non sono più sceso. A parte la mia attività di perito del Tribunale, mi dedico all’approfondimento di particolari che spesso non sono approfonditi sufficientemente. Ho un sito internet; ho pubblicato tre libri; su Youtube ho inserito diversi video. Alcuni colleghi mi scrivono, direttamente o tramite forum aeronautici e mi pongono quesiti su aspetti o problemi riscontrati. Queste sono occasioni per passare l’esperienza acquisita, tentando di chiarire aspetti e comportamenti. È un po’ come quando avevo la cattedra di Navigazione; alcuni sono assidui, interessati, bramosi di sapere, intervengono con quesiti; alcuni leggono, ma non trovano ciò che cercano o l’argomento non li interessa; la gran parte legge, ma non partecipa attivamente. Però, solo il fatto di leggere, a mio parere, è già una buona cosa; li sollecita a ragionare sul problema, li stimola ad approfondire, ampliando le loro conoscenze. Le innumerevoli possibilità di internet, anche in questo settore, sono potenzialmente eccezionali. Chi come me leggeva molti libri, ora ha la facile possibilità di spaziare su tutto lo scibile. L’unico difetto è che – con tanta quantità di notizie – se non si possiede un valido senso critico, si rischia di leggere anche cose inesatte e credere in esse. Il problema è saper scegliere la fonte.

Noi parliamo sempre da profani, anche se siamo affascinati dal mondo a cui lei appartiene. E come profani possiamo dire quello che abbiamo ascoltato sin da ragazzi, mentre salivamo su un aereo. Sarebbero due i momenti più delicati del volo: il decollo e l’atterraggio. È esatto?

Le fornisco alcune percentuali sulla raccolta degli incidenti editi dall’Organizzazione internazionale aviazione civile (Icao), edizione 2018. Statistica dal 2008 al 2015 per fasi del volo: decollo 31%; atterraggio 26%; avvicinamento 33%. Decollo e atterraggio sono le due fasi in cui il velivolo è più vicino al terreno per ovvi motivi. L’avvicinamento è quella fase del volo, dopo la discesa dall’altitudine di crociera da circa 20 Km dalla pista fino quasi all’atterraggio, in cui l’aereo si abbassa sempre più verso la pista utilizzando gli strumenti di bordo sintonizzati sulle radioassistenze di terra. Durante tale fase, il pilota deve raggiungere l’altitudine più bassa possibile (pur separato dagli ostacoli) al fine di ottenere il contatto visivo con la pista e poter continuare per l’atterraggio. È una fase molto delicata. La configurazione della macchina (ipersostentatori, carrello e altro) varia in tempi stretti per consentire di abbassare sempre più la velocità. Gli strumenti aiutano, ma sono assai importanti – e incidono notevolmente – le condizioni meteo. Contrastare un forte vento, la turbolenza, gli scrosci d’acqua, la presenza di bassa visibilità, un’eventuale piccola avaria, caricano ulteriormente il workload del pilota, che deve cercare di mantenersi all’interno di un ipotetico imbuto che si stringe sempre più. Una distrazione, una lenta reazione, possono portare al disastro. Qualcuno mi insegnò questa massima riguardante il lavoro del pilota: “ore di noia, intervallate da attimi di panico”.

Ma lei è noto per aver sollevato alcune questioni sull’atterraggio, sulle regole poco chiare nell’ambito delle complesse procedure di atterraggio. Potrebbe chiarircelo in modo comprensibile? Soprattutto per persone digiune di manovre e problemi di questo tipo?

Alcuni anni fa ebbi un’intuizione riguardo a un tipo di avvicinamento di rara applicazione; avvertii che le minime visibilità indicate dalle Authority erano insufficienti. Naturalmente immaginai di sbagliarmi, anch’io le avevo sempre accettate per valide, anche se a volte i conti non mi tornavano. Ho quindi iniziato ad analizzare tutti gli aspetti, creare delle ipotesi con dati diversi. Grazie all’aiuto di un disegnatore tecnico, portai tutti i dati su computer grafico ed ebbi la conferma che i conti non tornavano. Ho quindi ampliato lo studio su tutti gli aspetti di tale manovra. In tre anni di lavoro ho raccolto talmente tanti dati, da creare un libro di oltre 400 pagine.

E che cosa raccolgono quelle 400 pagine?

Ho riportato anche altri aspetti, dati, regole, che secondo me andrebbero modificate da parte delle Authority; per divulgare su un pubblico ancora più vasto ho poi postato su Youtube dei video esplicativi. Ma vorrei sottoporvi un argomento, seppur tecnico, di facile comprensione.

Prego.

Un collega mi ha sottoposto un quesito su una procedura di avvicinamento e atterraggio riguardante l’aeroporto di Roma Ciampino. Dopo una prima fase di volo – effettuato anche unicamente con la strumentazione elettronica di bordo – giunti su un preciso punto, viene richiesto al pilota di proseguire su un percorso stabilito, ma con in vista la pista. Tale punto si trova ad una distanza dalla pista di circa 6mila metri. Se tale condizione è presente, il pilota può proseguire, ma se ciò non avviene, sarà costretto ad aumentare la potenza dei motori, salire e conseguentemente dirigersi su un altro aeroporto, che in aviazione viene indicato col nome di Alternato (in altre parole, l’aeroporto di sicurezza). Le ditte cartografiche, che materialmente portano su carta tale manovra ad aiuto al pilota, riportano, per ogni categoria di aereo, i dati in termine di minima altitudine di separazione dagli ostacoli e di minima visibilità ritenuta sufficiente per effettuare in sicurezza l’avvicinamento. Essi riportano i valori di visibilità tratti da tabelle emesse dalle Authority. Purtroppo la tabella indica, per aerei di linea di categoria C (B737, AirBus320 eccetera, ovvero quelli di linea più numerosi) il valore di 2.400 metri. Credo sia lampante che tale dato non serve al pilota, a lui è necessario sapere 6mila! Visto anche che a bordo non ha il tempo e gli strumenti per conteggiarseli. Ho scritto alle due più grandi ditte cartografiche per sollecitarli a modificare le cartine. Una non mi ha risposto; con l’altra ho avuto uno scambio epistolare nutrito e interessante. L’addetta era una signorina molto preparata tecnicamente, che però mi ha confermato che loro riportano i dati ufficiali, punto! Io continuo a permettermi di sollecitare le Authority a sedersi a un tavolo di confronto e vedere se non è il caso di modificare quanto necessario. Faccio bene?

2 – fine 

(Gianluigi Da Rold)