Un’italiana che vive a New York, la chiameremo Anna, alcuni giorni fa ha fatto un post sulla sua pagina Facebook per raccontare la situazione del contagio da coronavirus negli Stati Uniti. Abbiamo parlato con lei, che ribadisce di aver fatto un commento “senza nessuna competenza”, ma che in una sola notte ha scatenato più di 700 prese di posizione e numerosissime condivisioni e che ha richiesto subito un suo nuovo intervento di spiegazione. La sua pagina è stata letteralmente presa d’assalto e tra precisazioni, ma anche insulti, ha dovuto passare la notte davanti al computer, sorpresa “per aver scatenato un caos così grande”. Cosa c’è dunque di così interessante?



Innanzitutto una valutazione del coronavirus italiano visto dall’atra sponda dell’Atlantico e poi una gran quantità di vita reale, quella che oramai i tanti inviati e grandi giornalisti delle principali televisioni e testate giornalistiche non riescono più a raccontare. Nessuna competenza specifica dunque, ma Anna invita a “tener duro, come in tanti angoli del mondo. Il mio messaggio voleva essere di solidarietà e di condivisione, sollecitata da tanti amici che mi chiedevano com’era la situazione negli Stati Uniti”.



La risposta del perché negli Usa ci siano pochi casi è semplice. “Quando in Italia il numero di contagi si aggirava intorno ai 300, erano stati fatti all’incirca 9000 test, su una popolazione di 60 milioni. Nello stesso periodo in America c’erano 20 casi registrati su una popolazione che supera i 300 milioni e i tamponi fatti erano 400 (compresi quelli fatti sulle persone rientrate dalla Diamond Princess)”.

La nostra amica americana spiega che un tampone costa 3.300 dollari e fa notare che non è quanto paga lo Stato, bensì la cifra coincide con l’esborso del paziente, che riceve regolare fattura. L’Agi ha raccontato la vicenda di un uomo che a Miami è stato testato dopo un viaggio di lavoro in Cina e si è ritrovato a dover pagare un conto di 3.270 dollari di spese ospedaliere.



Un’altra persona della Pennsylvania ha creato su Internet la pagina GoFundMe per farsi aiutare nel pagamento di 3.918 dollari di fatture che si è visto recapitare a sorpresa dopo essere stato evacuato dalla Cina e messo in quarantena con la figlia di tre anni.

Tyler Prochazka, sempre secondo l’Agi, un insegnante 27enne che si era recato a Shanghai a metà gennaio è stato testato in un ospedale del Kansas per il coronavirus e altri disturbi e ha ricevuto un conto da 983 dollari poche settimane dopo. Anche il Corriere della Sera conferma che sono già emersi casi di cittadini rimpatriati dalla Cina e messi in quarantena che si sono visti recapitare conti di spese sanitarie per migliaia di dollari: non la quarantena in sé, ma il viaggio aereo, il trasporto in ambulanza, i controlli medici successivi al test. 

Per capire tali cifre bisogna sapere che il sistema sanitario statunitense è basato sulle assicurazioni che ogni persona è tenuta a stipulare con livelli differenti di copertura e i costi sono quelli di un sistema privato che prevede un guadagno sulle prestazioni mediche. La sanità pubblica (universale come in Europa) non esiste, e Anna dice che “chi è fortunato e ha un’assicurazione buona, potrebbe avere un rimborso di circa 1.400 dollari, il resto comunque lo deve sborsare di tasca propria (quasi 2.000 dollari) Ecco spiegato come mai in America ci sono così pochi casi registrati”.

Gli ultimi dati aggiornati a oggi indicano solo 12 decessi, mentre i contagiati superano i 240 casi. Dati ancora molto bassi e contraddittori se California, Florida e Washington hanno dichiarato lo stato di emergenza sanitario. Molti osservatori si chiedono come faranno gli Usa ad affrontare l’emergenza con circa 35 milioni di persone prive di assistenza sanitaria (addirittura alcune fonti parlano di 44 milioni e altri 38 con copertura molto bassa), dopo che l’Obama care è stato completamente destrutturato dall’attuale amministrazione Trump. Ma soprattutto pesa il fatto che se i potenziali infetti scelgono di non sottoporsi al test per impedimenti economici, l’individuazione, il trattamento e il contenimento dei casi subirebbe un rallentamento incalcolabile e una conseguente propagazione incontrollata dell’epidemia.

I costi dell’assistenza sanitaria negli Usa sono altissimi. Un letto di ospedale per una notte può costare dai 35mila dollari ai 90mila. La nostra fonte ribadisce che la prima volta che fece le analisi del sangue standard le costarono 2mila dollari (in Italia si va dai 50 ai 90 euro), mentre l’ultima volta le sono costate 1009 dollari, con una copertura di 818 da parte della sua assicurazione e un esborso di 191 dollari, con costi che in Italia sembrano stellari.

Ecco alcuni esempi: tiroide (solo T4 e TSH) 148 dollari, proteina C reattiva 105 dollari, emoglobina 66, prelievo venoso 28. A New York pagare un’ambulanza può raggiungere anche una cifra di 3mila dollari.

Anna ci racconta che dopo aver soccorso una signora anziana che era caduta si è sentita rivolgere la richiesta “Per favore non chiamare l’ambulanza”. “Ero appena arrivata negli Usa e lì per lì non capii, ma nel tempo mi son resa conto di come funzioni la sanità americana”. Pensate che anche diventare vecchi è una tragedia, “perché anche se sostenuto da una buona assicurazione durante l’età lavorativa, nel momento di andare in pensione si passa al Medicare (over 65), un programma di assicurazione medica amministrato dal governo degli Stati Uniti e che, ovviamente, ha una copertura molto ridotta”.

Il debito privato negli Stati Uniti è molto alto e una delle voci che più incidono sulla bancarotta delle famiglie sono proprio e debiti sanitari. Al tempo del coronavirus una sanità privatistica sembra scarsamente adeguata, ma soprattutto pare tramontato per tantissimi l’ottimismo del sogno americano, bene espresso nel finale del cult Pretty woman, che predica di andare a “Hollywood, la città dei sogni, alcuni si avverano, altri no, ma continuate a sognare”.

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