L’inchiesta di Bergamo sulla gestione della pandemia in Italia volge al termine, nello specifico la fase istruttoria. C’è un dilemma per la Procura: va archiviata o no? L’ipotesi di una richiesta di archiviazione, come riportato dal quotidiano Domani, riguarda la configurabilità del reato di epidemia colposa per condotte omissive. La procura, quindi, sta valutando di cambiare imputazione passando all’omicidio colposo. La questione comunque resta complessa: ad esempio, la procura di Milano ha chiesto l’archiviazione sui decessi al Pio Albergo Trivulzio per mancanza di prove sul nesso causale, sostenendo però che il reato di epidemia colposa potrebbe configurarsi anche per condotte omissive. E ne sono state documentate molte dall’inchiesta. Ma la svolta decisiva potrebbe arrivare con la consulenza del professor Andrea Crisanti.
Al microbiologo il compito di stabilire il nesso causale tra la mancata attuazione del piano pandemico, la mancata zona rossa e l’aumento della mortalità più alto al mondo (+570%), registrato nella Bergamasca durante la prima ondata Covid. Il problema per la procura di Bergamo è dimostrare la colpa, cioè la prevedibilità degli eventi lesivi.
LA PERIZIA DI ANDREA CRISANTI
Dalla perizia tecnica di Andrea Crisanti, che verrà depositata entro fine anno, è emerso che il 23 febbraio 2020 all’ospedale di Alzano, a fronte di soli due casi Covid diagnosticati, c’erano già 80 persone infette, tra cui 40 operatori sanitari (10% del totale) e una quarantina di pazienti. «Questo lo definirei alla stregua di un disastro, per tale motivo abbiamo utilizzato le stesse tecnologie che si usano per stabilire le cause dei disastri», ha dichiarato a Presa Diretta. Il riferimento è a Fault Tree Analysis, che negli Stati Uniti si usa dal 1963 per calcolare gli errori nei lanci dei missili balistici. Analizzando le variabili che possono mandare in crisi un sistema, si mettono in relazione l’una sull’altra per capire quali sono necessarie e sufficienti da quelle necessarie, ma non sufficienti. «In questo modo è possibile stabilire una gerarchia di cause e capire la fragilità del sistema», la spiegazione di Crisanti. Con questa perizia la Procura di Bergamo sta riscrivendo la storia del focolaio bergamasco con informazioni inedite, come i dati granulari di ogni paziente contagiato, ricoverato e morto, insieme alla data di inizio sintomi e altre informazioni, per ricostruire la curva di diffusione del coronavirus nella zona più martoriata dal Covid.
LA SOTTOVALUTAZIONE DEL RISCHIO
La perizia ha concluso anche che la sorveglianza epidemiologica in Lombardia non ha funzionato. Andrea Crisanti ha spiegato che mancavano indicazioni per capire quello che accadeva in ospedale. Mentre i dirigenti della Asst Bergamo est si interrogavano sulla chiusura e riapertura del pronto soccorso, con i reparti però pieni di infetti, non c’erano tamponi. «La diagnosi Covid si può fare anche con la Tac, in combinazione con il quadro clinico e la situazione epidemiologica, avrebbe fornito un elemento importantissimo per fare una diagnosi presuntiva». Cts, governo e regione hanno ignorato per settimane il ruolo degli asintomatici, mentre dallo studio di Vo’ Euganeo era noto già che oltre il 40% della popolazione era positiva e asintomatica, anche se c’era un solo caso sintomatico accertato. Se era possibile all’epoca stabilire la dimensione del contagio nell’ospedale di Alzano, allora la Procura di Bergamo dovrà fare le sue valutazioni. «Se all’epoca dei fatti fosse emerso che c’era un numero così elevato di pazienti infetti sicuramente le autorità regionali e il ministero avrebbero avuto dei dati a disposizione per poter prendere delle decisioni più drastiche». Ma non sono state prese decisioni. La perizia tecnica di Crisanti stabilirà anche quale sarebbe stata la diffusione dell’epidemia e quindi la mortalità se la zona rossa fosse stata applicata una settimana prima o dieci giorni prima rispetto alla zona arancione istituita l’8 marzo.
NEL MIRINO ANCHE LE AUTORITÀ NAZIONALI
Ma l’inchiesta di Bergamo riguarda anche le autorità sanitarie nazionali. Il ministero della Salute tra il 22 e il 27 gennaio 2020 ha emanato due circolari riguardo l’individuazione dei positivi Covid. La prima suggerisce di fare diagnosi su casi sospetti senza tener conto del luogo di residenza o della storia di viaggio, la seconda solo su pazienti che sono stati in Cina nei 14 giorni precedenti l’insorgenza dei sintomi. I motivi di questa decisione sono legati ad una riunione che secondo Claudio D’Amario, direttore generale della prevenzione durante la prima ondata Covid, si sarebbe tenuta il 24-25 gennaio, ma di cui non esistono verbali. Le regioni non avevano risorse per i tamponi e con la seconda circolare avevano un appiglio per limitare i test. Ma il coronavirus ha circolato in maniera indisturbata per settimane esplodendo in maniera incontrollata. Ed è anche questo il motivo per cui il procuratore capo di Bergamo parla di «una grande sottovalutazione del rischio». C’è poi la questione del piano pandemico, andava applicato quello influenzale, anche se non aggiornato. Per gli inquirenti doveva scattare la fase 3.1, come raccomandato dall’Oms il 5 gennaio e ribadito il 4 febbraio 2020: n un documento ufficiale proveniente da Ginevra, citato da Domani, è riportata l’indicazione di applicare i piani pandemici influenzali, anche se non aggiornati.