Viviamo in una fase in cui la pandemia da Covid-19, pur essendo tutt’altro che scomparsa, appare sostanzialmente ridimensionata e ricondotta in quelli che sono i confini di una delle tradizionali influenze, che colpiscono il Paese nei mesi invernali.

Ma il panorama che si presentava ai nostri occhi tre anni fa era di tutt’altro tenore e il prezzo pagato in termini di vite umane è stato altissimo. Nessuno potrà dimenticare il dolore, lo sgomento, che ci sorprendeva ogni sera davanti a tutte quelle immagini che la tv ci rimandava, spesso nelle ore di maggior ascolto, con un realismo capace di scuotere le nostre coscienze, ponendoci interrogativi per lungo tempo senza risposta.



Non possiamo cancellare dalla nostra memoria quei bollettini, letti dalla voce autorevole dei membri del Comitato tecnico-scientifico, e perciò stesso tecnicamente perfetti nel distinguere il numero dei nuovi contagi, le persone ricoverate in terapia intensiva, e le persone che non ce l’avevano fatta.

Solo diversi mesi più tardi è arrivata la fase in cui con la vaccinazione si cercava di porre un argine al diffondersi del contagio e si sollecitavano le persone a vaccinarsi, con una campagna dal piglio militare, gestita dal generale Figliuolo, che aveva coinvolto ospedali e farmacie; hub creati apposta nei luoghi strategici delle grandi città, come quello della Croce Rossa alla stazione Termini di Roma o nell’avveniristico Centro Convegni della Nuvola all’Eur. Anche in questo caso, ogni sera gli esperti davano numeri molto concreti: quante persone si erano vaccinate, quante categorie erano state coinvolte, che età avevano, quali sviluppi si prevedevano, e così via.



Mai una pandemia era stata seguita con più attenzione e mai era stata tentata una operazione così capillare di educazione alla salute per milioni di cittadini. Lavarsi le mani, mantenere le distanze, prevenire i possibili rischi, piano i piano i cittadini sono passati dalla mancata conoscenza di tutto ciò che una pandemia comporta a una scoperta consapevole di quali cose fosse indispensabile fare e quali evitare.

Per questo ci ha sorpreso l’atto di accusa contro le massime figure istituzionali presenti in quel periodo ai vertici della sanità: dal presidente del Consiglio al ministro della Salute; dal presidente della Regione Lombardia al presidente dell’Istituto superiore di sanità. Andrea Crisanti, microbiologo all’Università di Padova, senatore Pd, che ha firmato la maxi-consulenza depositata ai pm di Bergamo nell’indagine sulla gestione del Covid nella bergamasca ha affermato: “La motivazione principale mia e della procura è stata restituire agli italiani la verità su quelli che sono stati i processi decisionali che hanno portato a determinate scelte. Con la consulenza è stata fornita una mappa logica su quello che è successo”.



Il punto chiave è chiedersi ancora una volta cosa si intenda oggi per Verità, a cominciare dal piano scientifico, per affrontare criticamente, ma oggettivamente, anche il piano delle decisioni che ne discendono sul piano operativo. Tanto più quando è in gioco la salute pubblica, la responsabilità politica, l’organizzazione degli ospedali in piena fase di pandemia, la ricerca scientifica, come risposta ai bisogni di salute emergenti, perché una cosa è la verità che conosciamo oggi e una cosa è la verità che non conoscevamo allora.

Esiste un piano di evoluzione temporale che caratterizza l’organizzazione delle nostre conoscenze, che non può essere annullato con un colpo di spugna. Oggi sappiamo cose che allora non sapevamo e non sapevano neppure i massimi esperti del settore e siamo in grado di prendere decisioni che allora apparivano incerte, confuse, a volte perfino contraddittorie.

Il procuratore di Bergamo, Antonio Chiappani, parlando dell’inchiesta appena conclusa, ha affermato: “Di fronte alle migliaia di morti e alle consulenze che ci dicono che questi potevano essere eventualmente evitati, non potevamo chiudere con una archiviazione…”. E ha aggiunto che la decisione presa è stata quella di offrire tutto il materiale raccolto per un contraddittorio con i difensori perché è giusto che la ricostruzione venga soprattutto dagli interessati, ossia da coloro che sono stati coinvolti a prendere decisioni difficili, anche quando le evidenze scientifiche non avevano la chiarezza che hanno ora, per elaborare un’esperienza non solo di carattere giudiziario, ma anche scientifico e amministrativo. E ha concluso che si tratta di una lezione, che si presta a una grandissima riflessione.

Ma ovviamente per raggiungere questo obiettivo non c’era alcun bisogno di mettere sotto accusa le più alte cariche istituzionali di un Paese in materia di sanità, generando in tutti i cittadini diffidenza e perplessità. Quale fiducia potranno avere i cittadini, dopo questo rinvio a giudizio dei massimi esponenti del Governo e in particolare della sanità, nell’eventualità che si presentino ancora situazioni del tutto sconosciute, come quelle che abbiamo appena vissuto? Abbiamo sperimentato una pandemia ad alta complessità con una forte carica di criticità, nota per i suoi effetti, ma sconosciuta nelle sue cause; chi ne aveva la responsabilità ai massimi livelli ha dovuto individuare gli strumenti di monitoraggio e di evoluzione, senza che il piano pandemico nazionale prevalentemente approvato a livello ministeriale fosse in grado di rispondere ai nuovi interrogativi. E ora la mancata conoscenza di fatti non solo oggettivamente sconosciuti, ma anche altrettanto oggettivamente non riconducibili a prassi e protocolli precedentemente vissuti, si sta trasformando in una sorta di culpa in vigilando, secondo una vecchia e superata argomentazione che afferma: “Non poteva non sapere…”.

Non si può pretendere che si sappia ciò che irrompe nella nostra vita come uno tsunami e ci impone un itinerario che va alla ricerca della nuova conoscenza attraverso gli step classici della osservazione, della raccolta dei dati e della loro organizzazione, fino a trasformare una massa di informazioni disordinata in traiettorie ben precise, riproducibili e prevedibili. Perché solo allora la conoscenza acquisterà quel carattere organico che consente un’interpretazione finalizzata alla migliore soluzione possibile.

Inizialmente nessuno capiva bene cosa stesse succedendo, ma poi la collaborazione di tanti esperti: medici, infermieri, tecnici, scienziati, politici, e ricercatori ha permesso di trasformare il caos della iniziale pandemia in una sfida organica, in cui tutto hanno interagito positivamente, secondo il criterio di una learning organization, che invece della denuncia avrebbe meritato un apprezzamento da tradurre in un Nuovo piano pandemico, con linee guida chiare  e accessibili per tutti. Proprio per questo speriamo che “la ricostruzione venga soprattutto dagli interessati, ossia da coloro che sono stati coinvolti a prendere decisioni difficili” in una fase in cui mancavano le evidenze necessarie, come ha affermato il procuratore di Bergamo, Chiappani. Non a caso, ha affermato che la sua speranza è che, “al di là delle accuse, delle polemiche che senz’altro ci saranno”, questo sia “uno strumento di riflessione”.

Magari l’intera vicenda aiutasse tutti a riflettere più, prima e meglio, per contenere il rischio che hanno corso tanti cittadini che hanno pagato con la vita, ma anche il rischio di tanti professionisti che hanno messo la loro vita al servizio di una verità da cercare, di una conoscenza da elaborare, di una politica da realizzare.

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