L’inchiesta sulla gestione del Covid nella provincia di Bergamo è approdata al Tribunale dei Ministri su richiesta dell’ex coordinatore del Comitato tecnico scientifico (Cts) Agostino Miozzo, difeso dagli avvocati Gino Fabio Fulgevi e Mario Figliolia. L’istanza è basata sul fatto che i reati a lui contestati sono ipotizzati «nella forma della cooperazione colposa» con l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte e l’ex ministro della Salute Roberto Speranza. Di conseguenza, è applicabile nei suoi confronti la norma che prevede la competenza del Tribunale dei Ministri, «e di conseguenza dell’unico ufficio requirente che possa, con esso, interloquire», cioè la procura di Brescia, guidata da Francesco Prete.



A spiegarlo Il Dubbio, precisando che la procura di Bergamo si era inizialmente opposta a tale richiesta. Dopo il via libera del procuratore generale Guido Rispoli e dell’avvocato generale Domenico Chiaro, gli atti sono stati quindi trasferiti a Brescia per competenza funzionali. Per tutti gli altri indagati, come Attilio Fontana e Giulio Gallera, vale lo stesso ragionamento, in virtù della «chiara consapevolezza di tutti di contribuire alla condotta altrui» nei reati di omicidio ed epidemia entranbi ipotizzati in forma colposa.



DIFESE CONTE E SPERANZA “INCHIESTA COVID FRAGILE”

Giuseppe Conte e Roberto Speranza verranno sentiti il 10 maggio a Brescia. Le loro difese parlano di un’inchiesta «fragile», a partire dal nodo della configurabilità del reato di epidemia colposa, da cui discenderebbe l’accusa di omicidio colposo plurimo. A tal proposito, Il Dubbio cita la Cassazione, che ha chiarito la questione più volte: «in assenza di qualsivoglia accertamento circa l’eventuale connessione tra l’omissione contestata al ricorrente e la seguente diffusione del virus» non è possibile ravvisare «la sussistenza del nesso di causalità tra detta omissione e la diffusione del virus». Una difficoltà di cui è consapevole lo stesso Antonio Chiappani, procuratore di Bergamo, che a Repubblica aveva evidenziato «un problema di configurabilità», nonostante il quale si è decisi di agire, per una questione di “giustizia sociale”. Comunque, l’inchiesta ora sarà gestita con una procedura differente. Il Tribunale dei Ministri ha 90 giorni di tempo dalla trasmissione degli atti per sentire il pm, eseguire i suoi approfondimenti e decidere se archiviare il procedimento o trasmettere gli atti al procuratore della Repubblica. Nel primo caso, la decisione sarebbe non impugnabile, nell’altro servirà l’autorizzazione del Parlamento.



“INCHIESTA COVID? CONTESTAZIONI INCONSISTENTI…”

«Di fronte alle migliaia di morti e alle consulenze che ci dicono che potevano essere evitati, non potevamo chiudere con una richiesta di archiviazione», aveva affermato. «Sono diverse le criticità – fa sapere uno dei difensori, come riportato da Il Dubbio –, a partire dalla ricostruzione del fatto. Alcune contestazioni appaiono inconsistenti, specie per quanto riguarda la parte riguardante il piano pandemico», la cui mancata attuazione avrebbe provocato, secondo i pm di Bergamo, 4mila morti evitabili. Il legale ha evidenziato che dall’inchiesta «emerge chiaramente che è stato fatto tutto quello che, umanamente e scientificamente, si poteva fare». Inoltre, ritiene che «scientificamente non stiano in piedi le accuse e lo diranno, se mai questo processo si farà, autorevoli studiosi. Tutte le azioni che andavano fatte sono state fatte, in un contesto – ricordiamolo – di gravissima carenza informativa da parte della Cina». Senza sottovalutare un altro aspetto, cioè che «c’è una confusione terribile nella ripartizione delle competenze giuridiche e una scarsa conoscenza degli strumenti legislativi e normativi… tante, troppe le falle di questa inchiesta».