Ma com’è potuto accadere un contagio così rapido e letale del coronavirus in Italia, ormai al vertice dei Paesi più colpiti? E quando passerà l’epidemia? Questa epidemia passerà, come altre in passato, ma quando dipende dalla forza con cui sarà combattuta, con la consapevolezza che le ricorrenti epidemie virali, come quelle influenzali, sono ormai parte della nostra vita quotidiana. Nei rapporti etico-sociali la Costituzione “tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”, mentre per i rapporti economici stabilisce che “lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico”: la situazione economica che stiamo attraversando è ormai molto di più di una semplice fase avversa e il non agire di conseguenza impedisce il ritorno alla normalità di cui abbiamo al più presto bisogno. Stiamo attraversando una grande epidemia mondiale, ma siamo meno attrezzati degli altri Paesi europei. Perché?



Il motivo è che a partire dalla crisi del 2008 è iniziato un periodo di contrazione fiscale che ha sensibilmente ridotto la spesa reale per la sanità e gli ospedali: utilizzando i dati pubblici di Eurostat è possibile stimare che fra il 2009 e il 2018 la spesa monetaria per gli ospedali in Italia è diminuita del 5% mentre in Germania è aumentata del 37%, in Austria del 42% e in Svezia del 44%.  Per stimare la quantità di servizi dobbiamo tenere conto della variazione dei prezzi fra il 2009 e il 2018: di regola si utilizza il deflatore del Pil, che misura i prezzi in modo indiretto, ma al livello disaggregato il deflatore è una stima spesso inadeguata e fragile,  perché le caratteristiche e la qualità sono l’aspetto vitale delle prestazioni sanitarie. Se, in questo caso particolare, vogliamo una misura più accurata e diretta possiamo allora tenere conto della variazione dei prezzi di mercato, che misurano anche il costo opportunità di qualità e tempi di attesa, ufficialmente calcolata in dettaglio con l’indice dei prezzi al consumo per la salute, affiancandola a quella del deflatore del Pil.



Il prezzo di mercato di beni e servizi per la salute in Italia è aumentato del +17,7% e in Germania del 7,6%: possiamo perciò calcolare, come differenza fra valori e prezzi, la variazione reale di quantità, che in Italia è stata pari al -22%, considerando i prezzi dei servizi alla salute, e del -14% se consideriamo il deflatore del Pil. Questa spiegazione rende conto della difficoltà di misurazione dei servizi alla persona e della spesa per la salute, che vanno perciò valutati con attenzione specifica (come i test Pisa). Le due tabelle riportate più in basso rendono conto delle stime con i due metodi, quello tradizionale e quello che per la sanità riteniamo più corretto, ma migliorabile. Se teniamo conto della variazione dei prezzi di mercato per i servizi della salute il quadro che emerge, nel confronto fra paesi, è più coerente e informativi.



La caduta della spesa pubblica ospedaliera reale in Italia è in forte contrasto con l’aumento negli altri paesi considerati: +12% in Francia, +27% in Austria, +20% in Svezia e +20% nel Regno Unito, patria della spending review. L’epidemia toccherà anche questi Paesi, ma in partenza il loro personale sanitario può affrontarla in modo più preparato e attrezzato di quanto accade oggi in Italia.

I risultati sono analoghi se consideriamo la spesa pubblica per la sanità nel suo complesso che in Italia cade del 13% rispetto a un aumento del 25% in Germania e negli altri Paesi: in questo caso è possibile considerare anche la Spagna dove pure la spesa pubblica per sanità è diminuita, ma in misura più limitata che in Italia (-3%). In Italia la spesa per la sanità è diminuita dal 7,4% del Pil nel 1999 al 6,8% nel 2018, mentre supera l’8% in Francia e Austria. In Italia, perciò, la riduzione della spesa pubblica è stata particolarmente dura e ha portato a dilemmi etici senza precedenti in tempo di pace, scaricando sui medici scelte drammatiche su chi merita di sopravvivere. La Germania ha una quota di popolazione anziana analoga a quella italiana, la gestione dell’epidemia sarà forse difficile anche per loro, ma senza che i medici siano costretti a dimenticare le solenni scelte etiche con cui hanno iniziato la loro professione. La differenza è nella dotazione di strutture, oltre che di personale, che avrebbero dovuto essere una preoccupazione prioritaria in questo decennio e ancora di più fin dall’inizio dell’epidemia in Cina.

Nel corso di un decennio si è accumulata una carenza di medici e strutture sanitarie, a partire da quelle dei medici di famiglia, per la quale paghiamo oggi un costo economico e umano troppo caro: la riduzione acritica dei posti letto ha mantenuto in equilibrio il sistema sanitario fino a che si è trattato di gestire la normalità, ma con una gestione sempre sul filo del rasoio ci siamo trovati impreparati a gestire l’emergenza, che quando si rivela in ambito sanitario diventa dirompente. Peraltro si tratta di una crisi annunciata e l’adozione di misure cautelative, con strutture mediche aggiuntive, sarebbe stata opportuna: oggi, mentre l’epidemia è scoppiata, vi è l’occasione per spingere la politica europea a un salto di qualità, com’è accaduto nel secondo dopoguerra, e sarebbe di buon auspicio che le autorità europee fossero vicine ai pazienti ammalati, a dimostrare che non esistono solo gli zero virgola dei conti pubblici.

Abbiamo bisogno di uno sviluppo sostenibile, nei fatti e non solo nelle intenzioni: i programmi della presidenza della Commissione europea, con Ursula von der Leyen, hanno creato speranze che non possono andare deluse.

L’Italia uscirà dalla crisi epidemica e quindi economica, ma questa è l’occasione per uscirne insieme e non divisi: la crisi epidemica, molto più del 2008, è uno spartiacque fra il prima, con errori economici da non ripetere, e il dopo con la voglia di ritornare a una Vita Nova, e rinnovata, come per il giovane Dante Alighieri.

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