Le indagini sul terribile incidente stradale che ha coinvolto un bus carico di turisti stranieri precipitato da un cavalcavia a Mestre, la sera del 3 ottobre scorso, procedono a ritmo serrato a caccia di elementi che determinino cause e dinamica. Cosa è successo al pullman guidato dall’italiano Alberto Rizzotto, tra le 21 vittime del disastro? È la domanda che morde le cronache da ore, centrale per risolvere l’inchiesta per omicidio plurimo stradale contro ignoti aperta dalla Procura di Venezia a margine dell’accaduto. Un atto dovuto e necessario a consentire tutti gli accertamenti tecnici per chiarire ogni aspetto della tragedia, dall’eventualità di responsabilità terze a quella, ancora tutta da vagliare, di un malore dell’autista. Su quest’ultimo punto interverranno i risultati dell’autopsia.



Le ipotesi sul tavolo di chi indaga, esclusi la presenza di segni di frenata e l’impatto con altri veicoli, puntano l’attenzione anche su un “buco” nel guardrail che incornicia il tratto del viadotto teatro dell’incidente. Un “varco” di circa un metro e cinquanta lungo la barriera, poi sfondata dal mezzo dopo averne percorsi circa 50 a contatto, su cui si addensano polemiche a cui il Comune di Venezia ha replicato con alcune precisazioni per spiegare che il tratto mancante non è una concausa della caduta dell’autobus nel vuoto. Un volo di quasi 10 metri, secondo i primi rilievi, in cui sono morte 21 persone e altre 15 sono rimaste ferite. Storie di vita che si spengono in una manciata di secondi, tra lamiere contorte e fiamme. È la prima istantanea di un inferno che ora dovrà trovare risposte attraverso il lavoro degli inquirenti, tra le maglie di un fascicolo complesso in cui non figurano, per ora, indagati.  Tra le piste da sondare anche quella di un guasto del mezzo riconducibile alla società di trasporti “La Linea”, su strada da neppure un anno, spiega Il Corriere della Sera, modello E-12 del colosso cinese Yutong e a propulsione completamente elettrica. Parte di interrogativi potrebbero trovare soluzione nell’esame delle dotazioni tecnologiche del bus, in particolare scatole nere, sistema anticollisione e telecamere interne ed esterne. Apparirebbe allo stato escluso l’incendio come concausa dell’incidente: il pullman avrebbe preso fuoco dopo essere precipitato.



Bus precipitato a Mestre, i nodi dell’indagine sull’incidente

Tra le ipotesi ventilate nell’alveo dell’inchiesta sull’incidente del bus precipitato dal cavalcavia a Mestre non sarebbe del tutto esclusa quella di un colpo di sonno, ma gli elementi finora acquisiti la renderebbero debole. Stando a quanto riportato da Adnkronos, infatti, l’ad della società di trasporto cui è riconducibile il pullman condotto dall’autista Alberto Rizzotto, Massimo Fiorese, avrebbe confermato che il turno di lavoro di Rizzotto – descritto dai colleghi come “esperto alla guida e appassionatissimo del suo lavoro” – fosse iniziato da non più di tre ore prima dello schianto. Al momento, sebbene la Procura resti abbottonata in attesa di avere in mano esiti concreti dagli accertamenti disposti, la tei di un malore sarebbe la più accreditata.



L’impatto del pullman – ha dichiarato il procuratore capo di Venezia, Bruno Cherchi – è avvenuto una cinquantina di metri prima della rottura del guardrail e della caduta, sembrerebbe che il bus si sia accostato al guardrail, lo abbia affiancato per una cinquantina di metri, poi c’è stata un’ulteriore sterzata, l’appoggio verso destra e la caduta. Non risulta che ci sia stato un incendio nel senso tecnico del termine, c’è stata una fuoriuscita di gas delle batterie, su queste stiamo facendo degli accertamenti“. A quell’ora, è certo, il mezzo viaggiava lentamente a causa del traffico lungo quel tratto di arteria stradale che collega Marghera al capoluogo veneto e che il bus percorreva per riportare i turisti al Camping Hu. In quel punto insisterebbero inoltre lavori di ammodernamento e uno svincolo che porta a rallentare. Esclusa quindi anche l’eventualità dell’alta velocità, come emerge inoltre da un video.

Gli accertamenti in corso: dalle batterie al nodo “buco” nel guardrail

L’indagine punta anche a chiarire se possa essere subentrato un problema alle batterie al litio che alimentano il bus e lo stato della barriera di protezione (assente per un tratto di circa un metro e cinquanta). L’assessore alla Mobilità del Comune di Venezia, Renato Boraso, ha sottolineato ai microfoni di Adnkronos che quel “buco” in realtà “è un punto di passaggio, un varco di accesso per motivi di sicurezza, per la manutenzione“. Una “piccola interruzione”, ha aggiunto Boraso, che se colmata non avrebbe comunque la capacità di fermare un mezzo del peso di 13,5 tonnellate come quelle del pullman poi precipitato. “Bisogna capire perché in un rettilineo in discesa questo bus ha perso il controllo – ha concluso l’assessore del capoluogo, pur confermando il fatto che si tratti di barriere obosolete –, il guardrail non è neanche una concausa perché siamo in un rettilineo“. Secondo quanto affermato da Boraso, riporta infine l’agenzia di stampa, il mezzo sarebbe caduto “50 metri dopo” e “non è che un metro e mezzo impedisce la caduta.

Ansa riporta un’ulteriore precisazione dell’assessore Boraso: “Quel varco era previsto dal progetto di allora, degli anni ’60, ed era a norma. È uno spazio di sicurezza, previsto per le manutenzioni o per far accedere i soccorritori in caso di necessità. Sono pronto a tutelare in ogni sede il nome del Comune di Venezia, dei miei collaboratori, contro illazioni che ritengo vergognose“. Nelle ultime ore, si sono concluse le procedure di identificazione delle 21 vittime del disastro: l’autista italiano, 9 ucraini, 4 rumeni, 3 tedeschi, 2 portoghesi, un sudafricano e un croato. I passeggeri dell’autobus erano in prevalenza giovani e giovanissimi, tra loro anche bambini. A bordo anche un neonato di pochi mesi e una coppia in luna di miele, sposata da circa 20 giorni. Di quest’ultima, la donna è morta nell’incidente e il marito è rimasto ferito. Aspettavano un bimbo da 6 mesi.