L’interpretazione degli eventi del presente può aiutare a comprendere gli eventi del futuro e l’attuale situazione dello scacchiere internazionale così caotica, certamente non rasserena, anzi, amplifica le domande e lo stress. David Goldman, firmato Spengler da almeno vent’anni sulla rivista on line Asia Times di cui è vicedirettore, esprime sempre un pensiero originale, frutto di analisi elaborate su una pluralità di informazioni. Estremamente interessante il suo ultimo articolo, pubblicato l’11 novembre scorso riferito ai rapporti Stati Uniti-Cina e all’incontro programmato per oggi, 15 novembre, a San Francisco fra Biden e Xi Jinping.



Il leader cinese, secondo Goldman, ha quattro assi in mano da poter mettere sul tavolo nel confronto con il Presidente Usa. Il primo asso è il fallimento dell’offensiva ucraina contro le forze armate russe, oggi in una fase di stallo per ammissione dello stesso generale ucraino Valery Zulurhny, così come riporta The Economist in articolo del 1° novembre scorso. Un vantaggio per la Cina che ha raddoppiato le esportazioni in Russia da quando è scoppiato il conflitto nel febbraio del 2022. Il secondo asso è il fallimento della guerra tecnologica promossa dagli Stati Uniti contro Cina. Goldman motiva questa affermazione ricordando che il 7 novembre Reuters ha riferito che il colosso cinese di Internet Baidu ha ordinato 1.600 chip AI Ascend 910B di Huawei, equivalenti come caratteristiche all’unità di elaborazione grafica Nvidia A100, il processore AI più popolare. Nvidia, nel frattempo, ha offerto un nuovo set di chip, ridimensionato per il mercato cinese, per conformarsi alle nuove restrizioni del Dipartimento del Commercio, annunciate il mese scorso. Anche in questo caso viene richiamata la fonte, la società di consulenza Semianalysis, che il 9 novembre ha affermato che “Nvidia ha comunque trovato il modo di spedire GPU ad alte prestazioni in Cina con le prossime GPU H20, L20 e L2”.



Sullo sfondo del vertice Biden- Xi c’è il timore, inoltre, – condiviso da entrambe le parti – che uno scontro Usa e Cina nella regione di Taiwan, nel mar meridionale cinese, sarebbe molto rischioso. Da qui a essere restii ed evitare il confronto, che può portare a una guerra, il passo è breve. Questo è il terzo asso di Xi: nell’aerea sono dislocati migliaia di missili e aerei da guerra di ultima generazione che danno alla Cina un enorme vantaggio in termini di potenza d fuoco.

L’analisi di Goldman prosegue citando un articolo del 9 novembre del The Observer del Prof Jin Canrong dell’Università Renmin, eminente consigliere del Partito comunista cinese: “Il vecchio ordine dominato dall’Occidente si sta disintegrando, ma il nuovo ordine non è ancora stabilito“. La visita a Pechino del 15 ottobre del Governatore della California, Gavin Newsom – il più probabile candidato democratico alla presidenza del prossimo anno, se Biden si ritira – può anticipare le conclusioni del summit: Newsom, sulla questione Taiwan, ha espresso il suo sostegno alla politica della Cina unica, in contrasto con le precedenti dichiarazioni di Biden che aveva affermato che sebbene gli Stati Uniti “non stiano incoraggiando la loro indipendenza” (di Taiwan), l’indipendenza è “una loro decisione”. In conclusione Biden, conoscendo la sua posizione più debole, rispetto alla Cina probabilmente farà marcia indietro su Taiwan.



Infine, la crisi di Gaza, l’ultimo asso. Oggi la Cina esporta più verso il mondo musulmano che verso gli Stati Uniti, così come esporta attualmente più nel sud che nel resto del mondo: negli ultimi quattro anni le sue esportazioni sono più che raddoppiate. E la voce del sud del mondo è sempre più forte e sta crescendo: questi Paesi hanno aspettative e richieste sempre più elevate e vedono la Cina come leader de facto in opposizione a Israele, un alleato americano. In definitiva – secondo Goldman -, la Cina vede un’opportunità per contrastare gli Stati Uniti e sta sfruttando la sua posizione rafforzata nel sud del mondo per minare l’influenza geopolitica americana.

In un altro articolo, firmato Spengler, del 12 novembre, Goldman è lapidario: in un mese quasi un milione di persone sono fuggite dal nord a sud di Gaza. Gli israeliani si sono mossi per primi e velocemente, svuotando la roccaforte di Hamas del suo popolo e bloccando i combattenti di Hamas nei loro tunnel. Resteranno intrappolati senza via di fuga. Il massacro del 7 ottobre compiuto da Hamas nelle comunità di confine di Gaza e il rapimento di centinaia di israeliani hanno dato a Israele il sostegno interno e la legittimità internazionale per dispiegare una forza senza precedenti, in termini di potenza di fuoco e durata. Anche se un cessate il fuoco venisse presto dichiarato sotto la pressione americana, Israele non avrà fretta di ritirarsi e consentire alla popolazione di tornare nella Striscia settentrionale. Se tornasse, cosa troverà? – si domanda Spengler – Niente! Non avrà case, strade, istituti scolastici, negozi o qualsiasi altra infrastruttura di una città moderna e questo provocherà il collasso dell’organizzazione e smantellerà la sua capacità di governare Gaza. I rifugiati rimarranno nelle loro tende nel sud di Gaza come una testimonianza di vergogna per Hamas finché qualcuno non deciderà di metterli altrove, mentre il nord di Gaza rimarrà in rovina.

E gli Stati arabi? Goldman non ha dubbi: faranno elemosine, si agiteranno a parole contro Israele, ma alla fine godranno in privato dell’umiliazione di Hamas. Certo, questa potrebbe essere la probabile conclusione temporanea del conflitto tra Hamas e Israele, ma troppi civili e innocenti morti, da entrambi le parti, e profughi disperati erranti non sono certo il cemento per una pace duratura, né l’antidoto di nuovi attentati nello scacchiere occidentale.

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