A quanto pare la dichiarazione del Presidente americano Biden, che rispondendo a una domanda di una giornalista ha ribadito la definizione di “dittatore” per Xi Jinping, non ha cambiato il mood dell’incontro avvenuto ieri a margine del vertice dell’Asia-Pacific Economic Cooperation (APEC) di San Francisco.
L’incontro fra Biden e Xi ha sicuramente fatto registrare un clima più dialogante, ma la sensazione che si percepisce è quella di “una coppia che ha deciso di divorziare, ma si presenta alla festa del Ringraziamento e non l’ha ancora detto a nessuno dei suoi familiari” per usare le parole della sinologa Oriana Skylar Mastro, che in modo graffiante ha descritto i rapporti fra i due leader. La parola decoupling è stata accuratamente evitata ed entrambe le parti hanno preferito lanciare segnali distensivi, puntando ad auto-rappresentarsi come due potenze impegnate al conseguimento della stabilità globale.
Al netto del tentativo di entrambe le potenze di rendersi economicamente e tecnologicamente autonome dal proprio rivale non compromettendo i flussi commerciali, ciò che caratterizza questa fase delle relazioni sino-americane è la necessità di Usa e Cina di trovare un modo di gestire la competizione evitando che essa possa sfuggire di mano.
Per certi versi il vertice di San Francisco rappresenta un altro momento della transizione che porterà a un equilibrio bipolare e alla formazione di due blocchi. Benché questo processo rappresenti molte incognite, è indicativo il fatto che Biden e Xi abbiano messo sul tavolo dei dossier che necessitano una forma di cooperazione. La questione del fentanyl – una droga sintetizzata in Cina e smerciata negli Usa dai narcos messicani –, dell’Intelligenza Artificiale e la creazione, in vista del vertice sul clima COP28 di Dubai, di un gruppo di lavoro comune, rappresentano temi complessi che nessuna potenza può affrontare in autonomia, ma soprattutto sono l’occasione per dare al mondo l’impressione che le due potenze agiscono nel nome della cooperazione.
Inoltre, l’incontro di San Francisco vede due potenze in difficoltà sia sul fronte domestico che estero che cercano di guadagnare una posizione di forza in vista delle sfide del futuro. La Cina, in particolare, si trova ad affrontare la questione più critica per la sua economia: il deflusso di 11,8 miliardi di dollari registrati nel terzo trimestre di quest’anno rappresenta una storica inversione di tendenza. Forse per questo motivo Xi ha palesato un atteggiamento amichevole e collaborativo alla cena organizzata in suo onore dai rappresentanti più significativi dell’economia americana. Incontrando Tim Cook di Apple, Laurence Fink di BlackRock, Hock Tan di Boradcon, Ray Dalio di Bridgewater Associates e Albert Bourla di Pfizer, Xi ha dichiarato che la vera natura del rapporto sino-americano è la cooperazione pacifica. Toni distensivi che fanno eco alla dichiarazione, a suo modo storica, in cui il presidente cinese ha sostenuto che Pechino non persegue “l’egemonia o l’espansione, e non imporrà mai la sua volontà ad altri. La Cina non cerca sfere di influenza e non combatterà una guerra fredda o una guerra calda”.
Sembrerebbe, quindi che la Cina non voglia capitalizzare le difficoltà degli Stati Uniti alle prese con un caldissimo fronte interno e spese colossali per sostenere l’Ucraina e Israele, ma a ben vedere questi toni distensivi sono stati resi possibili dal fatto che durante il vertice gli Usa hanno ribadito l’intenzione di rispettare la One China policy e che le prossime elezioni a Taiwan potrebbero vedere vincente un governo di coalizione grazie al fatto che i due partiti di opposizione filocinese hanno trovato un accordo. Dunque il riavvicinamento di San Francisco è stato reso possibile dalla contingenza delle relazioni internazionali e dalle rispettive debolezze dei due rivali, ma il probabile peggioramento della crisi economica e la questione di Taiwan potrebbero far saltare il banco.
Al momento, però, registriamo il fatto che le due potenze intendono gestire la competizione utilizzando gli strumenti del soft power, mostrandosi garanti della stabilità strategica e delle virtù del commercio. Almeno fino a quando le rispettive debolezze non determineranno cambi di rotta.
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