Da una parte la ministra degli Esteri libica Najla al Mangoush e dall’altra il collega israeliano Eli Cohen, riuniti a Roma per riallacciare le relazioni tra i due Paesi. Un incontro inatteso, storico per alcuni versi, che in Libia ha scatenato proteste, tanto da spingere il presidente Dbeibah a sospendere la ministra.
I motivi di questo riavvicinamento sono diversi. Entrambi i leader che controllano il territorio libico, Dbeibah, riconosciuto dalla comunità internazionale, e Haftar, leader della Cirenaica, potrebbero avere interesse ad avere appoggio da Tel Aviv. E non solo in termini di armi. Israele, da parte sua, potrebbe proseguire nell’opera di riavvicinamento ad alcuni Paesi del Mediterraneo allargato iniziata con gli accordi di Abramo. Ha stretto accordi con il Marocco e ora, sempre nel Nordafrica, potrebbe farlo, appunto, con la Libia. Una situazione comunque complicata. La spiega Michela Mercuri, docente di cultura, storia e società dei Paesi musulmani all’università di Padova.
A Roma si è tenuto uno storico incontro tra i due ministri degli Esteri di Libia e Israele. Come si è arrivati a questo tentativo di riallacciare i contatti?
In realtà non è la prima volta che un rappresentante del Governo libico incontra un rappresentante del Governo israeliano. Si è parlato più di un anno fa di un presunto incontro tra il figlio del generale Haftar, Saddam, con alcuni funzionari israeliani. Era stato lo stesso Saddam Haftar a volare in Israele. Poi ci sono voci non confermate di un incontro dell’attuale premier dell’unità nazionale di Tripoli, Dbeibah, con il capo del Mossad israeliano. Ma si tratta di un incontro che, appunto, non è mai stato confermato.
Ma perché la Libia può avere interesse a stringere accordi con Israele?
Va detto che al di là di dover mantenere un appoggio di facciata alla causa palestinese, entrambi i leader libici hanno in qualche modo bisogno dell’appoggio di Israele, per la fornitura di armi e anche per altri temi economico-finanziari. L’incontro di Roma può essere giustificato indubbiamente da questo.
L’incontro Libia-Israele ha suscitato proteste e la sospensione del ministro degli Esteri da parte di Dbeibah. Chi non vuole il riavvicinamento?
È possibile che la sospensione del ministro degli Esteri da parte di Dbeibah sia più un segnale rivolto ad alcune importanti tribù, sue alleate, molto vicine alla causa palestinese, per non perderne l’appoggio. In ogni caso sono portata a credere che entrambi i leader libici, in questo momento, non disdegnerebbero un supporto da parte dello Stato di Israele. Va detto che Israele ha una lunga storia di luci e ombre con la Libia: Gheddafi è stato spesso accusato di finanziare movimenti terroristici palestinesi, ma le posizioni si sono ammorbidite con la sua morte. L’Egitto, che è alleato di Haftar, ha realizzato accordi con Israele per evitare che le armi e i jihadisti che dalla Libia (dalla Cirenaica) giungono in Egitto arrivino poi nello Stato di Israele. C’è quindi da tener conto anche di questo, che un alleato vicino ad Haftar ha stretto accordi per il controllo congiunto delle frontiere con Israele. Una questione molto complicata.
Israele ha delle mire sul Nordafrica?
Israele ha già da qualche anno l’idea di ammorbidire le sue relazioni con alcuni Paesi e lo ha fatto con gli accordi di Abramo dell’agosto 2020, voluti e supportati dal governo americano, dalla presidenza di Donald Trump. Intese che hanno permesso a Israele di normalizzare le sue relazioni con i Paesi del Golfo, in particolare con gli Emirati Arabi Uniti. Ma anche con il Nordafrica: con il Marocco ha firmato numerosi accordi di cooperazione, anche in termini di addestramento e di fornitura di armi. È possibile che la Libia rappresenti un altro tassello importante di questa sua strategia che riguarda alcuni Paesi del Mediterraneo allargato.
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