Ieri il ministro degli Esteri russo Lavrov non ha escluso l’ipotesi di un incontro tra Putin e Biden a margine del prossimo G20 di novembre. Putin dunque cerca il dialogo, ma non rinuncia ai missili, che ieri per il secondo giorno sono tornati a colpire obiettivi sensibili su tutto il territorio ucraino: 1.307 centri urbani secondo fonti russe sono senza corrente elettrica, alcuni sono senz’acqua, sono state colpite centrali elettriche e linee ferroviarie, a Kiev i missili di Mosca sono caduti in zone vicinissime a quella presidenziale. Un’azione “coordinata”, questo il termine usato dal presidente russo, per mettere in difficoltà tutte le reti infrastrutturali dell’Ucraina.
A Putin hanno fatto da contraltare le parole del segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, secondo il quale “se la Russia vince sarà una sconfitta non solo per l’Ucraina, ma una sconfitta e un pericolo per tutti noi”. È l’ammissione – ha accusato Medvedev, da Mosca – che la Nato è parte belligerante.
“Abbiamo la conferma che la Russia intende agire su più livelli, non ci resta che aspettare la risposta americana” commenta il generale Giorgio Battisti, già comandante del corpo d’armata di Reazione rapida della Nato in Italia e capo di stato maggiore della missione Isaf in Afghanistan. L’Ucraina? “Non sta sfruttando la finestra di opportunità che ha fino all’ingresso di centinaia di migliaia di soldati russi. Dovrebbe approfittare della situazione e intensificare gli sforzi offensivi, prima della stabilizzazione del fronte”.
Putin ha aperto a un incontro con Biden. Come si spiega questo spiraglio?
A mio avviso Putin vuole dar prova di voler chiudere il conflitto. Può anche darsi che sia in difficoltà politiche, o militari, come dicono in tanti, ma io non credo che siano determinanti.
Vuol dire che la Russia potrebbe farne a meno?
Gli attacchi missilistici di questi due giorni dimostrano proprio questo.
Dunque?
Credo che al momento, certo anche a causa della resistenza ucraina sostenuta dai Paesi Nato, prevalga la determinazione a difendere gli obiettivi raggiunti.
Intende dire le nuove annessioni territoriali?
Sì. Già diversi mesi fa Putin aveva affermato che l’obiettivo era quello di “liberare” le regioni filorusse. Torneranno russe “per sempre”, ha detto celebrando l’ingresso nella Federazione dei nuovi oblast.
Questo significa che il sostegno all’Ucraina è vano?
No, perché i russi di problemi ne stanno avendo eccome. L’attacco al ponte di Kerch è un’ulteriore dimostrazione delle difficoltà che incontrano le forze russe nel controllare le proprie infrastrutture e nel prevenire gli attacchi. Una contromossa di Kiev c’è già stata.
A che cosa si riferisce?
È di oggi (ieri, ndr) la notizia che gli ucraini hanno colpito una centrale elettrica a Shebekino, città russa di confine nella regione di Belgorod.
Intanto Zelensky è intervenuto al G7 e ha detto che non ci può essere dialogo con Putin. Il presidente russo vuole verificare la reale disponibilità degli Usa a negoziare?
Naturalmente sì, c’è anche questo. Innanzitutto, però, ritenendo Zelensky manovrato dagli Usa, Putin si rivolge direttamente a chi lo sostiene e prende le decisioni per l’Ucraina.
Gli attacchi missilistici di questi due giorni segnano una fase nuova?
I russi hanno sempre lanciato missili, basti pensare al centro di addestramento vicino a Leopoli colpito nel marzo scorso. La frequenza e il numero dei vettori erano però relativamente limitati. Dopo Kerch, lo stesso Putin ha parlato per la prima volta di “lancio coordinato”, anche con l’ausilio di droni iraniani.
Un cambio di strategia?
La volontà di fiaccare la resistenza della popolazione in tutta l’Ucraina. Andiamo verso l’inverno, e rimanere senza corrente elettrica e senz’acqua calda da quelle parti non è piacevole.
Che ne è delle operazioni in Donbass?
In questo momento gli ucraini stanno premendo a sud di Kharkiv per conquistare posizioni nel Donbass, mentre i russi cercano di contrattaccare nella zona di Kherson per stabilizzare le linee oltre la sponda occidentale del Dnepr. Lo stesso avviene nel Lugansk intorno alla cittadina di Bakhmut. Ma sono azioni limitate in termini di intensità.
Per quale ragione?
Sostanzialmente per due motivi. Il primo è che entrambe le forze hanno subito forti perdite. Gli ucraini devono riorganizzarsi, ricevere armi, rimpiazzare i reparti più logorati. Lo stesso vale per i russi. In più, le forze di Mosca impegnate al fronte devono guadagnare tempo, in modo da permettere ai 250mila mobilitati di terminare l’addestramento. Altri 200mila dovrebbero unirsi più tardi.
È un problema per l’Ucraina.
Direi che l’esercito ucraino non sta sfruttando la finestra di opportunità che ha fino all’ingresso di centinaia di migliaia di soldati russi, cioè tra circa due o tre settimane.
Nel frattempo arriverà l’inverno.
È l’altro aspetto fondamentale. Ci sono già le prime nevicate, presto la terra diventerà bianca, fangosa, scivolosa, e creerà un ostacolo per entrambi. Questo porterà a stabilizzare il fronte. Quando invece il terreno diventerà ghiacciato, normalmente a fine gennaio, i mezzi potranno tornare a muoversi.
Cosa dovrebbe fare Kiev?
Approfittare della situazione e intensificare gli sforzi offensivi. Durante l’inverno entrambi gli eserciti saranno limitati nei movimenti dalle condizioni climatiche.
Come commenta il conferimento del comando delle operazioni al generale Surovikin, ritenuto senza scrupoli e per questo gradito ai falchi Prigozhin e Kadyrov?
È un doppio segnale di Putin ai falchi russi e all’Occidente, ma il messaggio è il medesimo: il Cremlino è fortemente determinato a continuare le operazioni. Nonostante il malcontento.
E questo orientamento può coesistere con le aperture?
Certamente. La Russia intende agire su più livelli. C’è anche un altro dettaglio da considerare.
Quale?
Putin ha annesso regioni che non sono interamente sotto controllo russo: leggerezza, imprudenza o piuttosto una forma di concessione, un segnale di dialogo?
Intanto Stoltenberg ha ribadito che la Nato sarà al fianco dell’Ucraina “fino a quando sarà necessario” e ha lanciato una esercitazione di deterrenza nucleare “di routine”.
Non solo. Ha anche affermato che un forte attacco cyber a Paesi Nato potrebbe provocare l’applicazione dell’articolo 5 del Trattato. E la fornitura di armi a Kiev continua: ora tocca al sistema di difesa aerea tedesco Iris-T Slm.
Dunque anche lei trova che siamo di fronte ad una fase diversa dalle precedenti, più difficile da decifrare?
È così. Ci siamo tutti più o meno rassegnati all’utilizzo dell’arma nucleare, e già questo è un fatto molto pericoloso. Sembra quasi che la situazione sul campo sia passata in secondo piano. Siamo davanti a tanti elementi che si stanno sovrapponendo e attorcigliando, a un’accelerazione di intenzioni, dichiarazioni e azioni dagli esiti potenzialmente imprevedibili.
Secondo lei ci sono le condizioni per una tregua? Chi o che cosa potrebbe propiziarla?
Difficile da prevedere a breve. Il presidente ucraino intervenendo in video conferenza al vertice “virtuale” del G7 ha ribadito che non ci potrà essere dialogo con i russi sino a quando Putin non sarà deposto. Aspettiamo comunque di vedere la risposta di Biden alla proposta russa di un colloquio con Putin al G20.
Ritiene che le elezioni di midterm favoriscano o ostacolino il dialogo? Non si era mai sentito un presidente americano parlare di “Armageddon”.
Biden cerca di dimostrarsi più determinato per contenere le critiche dei conservatori, propensi ad una posizione statunitense più interventista, e non perdere consensi tra gli elettori.
(Federico Ferraù)
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