La presenza sempre più radicata nel nostro territorio alimenta il dibattito sulla convivenza con il lupo. Molte persone, di fronte al conclamato e reale aumento in Italia di questi grandi predatori, si stanno chiedendo se aver paura di fare una passeggiata nei boschi delle zone alpine ed appenniniche.
La paura, suscitata da una presenza poco conosciuta ma carica di antiche paure (anche storicamente fondate) e dicerie, porta le persone ad una percezione poco chiara della realtà.
Il lupo è sempre più presentato all’opinione pubblica come l’immagine di un essere misterioso ma certamente spietato, che poco si avvicina come identikit a quello splendido animale selvaggio e diffidente che chi lo incontra davvero ha il tremore e il sommo piacere di contemplare. È dunque da una mancanza di conoscenza vera che scaturisce la paura, una paura dell’ignoto che domina il pensiero di fronte al grande predatore.
Per poter affrontare in modo serio, pertinente e completo questo tema occorre quindi un processo conoscitivo altrettanto serio, altrettanto pertinente e altrettanto completo. Senza una reale conoscenza della situazione nella sua totalità e complessità è utopico pensare di poter raggiungere una soluzione concreta e attuabile. Una conoscenza superficiale non può che condurre a valutazioni superficiali.
Le tre problematiche principali che riguardano l’incremento della presenza del lupo in Italia sono:
– la predazione di animali da reddito,
– la predazione di animali domestici, per lo più cani,
– il timore, atavico e storico, di aggressione all’uomo.
Si tratta di tre argomenti seri da affrontare con adeguate conoscenze, pragmaticità e prassi gestionali.
Il lupo è in grande espansione in molti ambienti naturali ed antropizzati. È un superpredatore che per vivere deve uccidere altri animali. Nel nostro Paese il lupo preda principalmente grandi mammiferi erbivori come cinghiali, cervi, caprioli o camosci. Il lupo svolge quindi un’azione naturale e utile per mantenere un ecosistema funzionante e ridurre i danni da parte degli ungulati (su boschi, coltivazioni e incidentalità stradale).
Nelle zone in cui l’uomo alleva animali da reddito che rientrano nelle possibili prede del lupo, si creano inevitabilmente dei conflitti.
La tutela degli armenti è sacrosanta perché dà da vivere e contribuisce al mantenimento di una diversità ecosistemica importante su Alpi ed Appennini. Indennizzare soddisfacentemente gli allevatori, aiutarli nel recintare adeguatamente gli animali e supportarli con i cani da guardiania ben addestrati e gestiti, sono obiettivi raggiungibili se si vuole ridurre il conflitto sociale e conservare le popolazioni di lupo. La nostra società può culturalmente ed economicamente permetterselo.
Il lupo si adatta a diverse fonti di cibo, anche di origine antropica. Le carcasse di animali da reddito, insieme a placente e feti, che in alcuni casi vengono lasciate temporaneamente nei letamai delle stalle rappresentano una forte attrazione per il lupo che ha imparato ad usare questa risorsa.
La predazione di animali da compagnia (cani e gatti) è un fenomeno in aumento. Del resto, gli stessi cani nei contesti rurali sono talvolta responsabili di fenomeni di predazione sugli animali al pascolo.
Un adeguato ricovero dei cani nelle ore serali può ridurre significativamente gli episodi di interazione. Nelle zone di presenza del lupo durante le passeggiate o le uscite con il cane è opportuno tenere i cani al guinzaglio. In alcune aree il cane libero, oltre ad essere un potenziale disturbo per la fauna selvatica in genere, rischia di incontrare i lupi. Inoltre è opportuno assicurarsi che, soprattutto in orari notturni, il cibo per animali domestici non rimanga a disposizione degli animali selvatici. Il cibo potrebbe attrarre, oltre al lupo, diversi altri animali selvatici come mustelidi, cinghiali, volpi che, anche per motivazioni sanitarie, non dovrebbero venire a contatto con i nostri animali domestici.
D’altro canto, qualcuno vorrebbe dipingere il lupo come un docile canide che vive in territori sperduti di un Paese che di selvaggio ha ormai ben poco. Il lupo invece sempre più spesso entra in contatto con realtà rurali, persone e animali domestici. Di cosa dunque dovremmo preoccuparci? Innanzitutto, di comprendere davvero questo fenomeno in tutti i suoi aspetti, dal fascino alle preoccupazioni, senza trascurare nulla.
Occorre quindi anche ragionare sulle interazioni dirette con l’uomo. Non si può escludere in assoluto che possano verificarsi, in condizioni e situazioni particolari. La casistica internazionale e le indagini storiche hanno evidenziato alcuni fattori che hanno favorito, negli ultimi due secoli, eventi di minaccia e attacco all’uomo.
Il rischio di tali eventi quindi non può essere escluso, e nel caso di lupi problematici va affrontato, in maniera tecnica e razionale, senza demonizzare il lupo. Altrimenti dovremmo demonizzare il cane, migliore amico dell’uomo, responsabile periodico, come racconta la cronaca, di aggressioni ed uccisioni. Oppure eliminare api e vespe perché ogni anno causa di alcuni decessi nel nostro Paese.
Occorre quindi un approccio razionale, scientifico ed operativo per affrontare i tre argomenti suddetti e non mancano i casi di gestione efficace per salvaguardare il lupo e ridurre i conflitti. Il confronto tra quanto succede in Svizzera e Svezia ci documenta due modalità diverse.
Va però distinta la caccia, attività regolamentata a fini di sfruttamento di una risorsa naturale, dalla attività di controllo, prassi prevista dalle norme e finalizzata al contenimento di problematiche tra la fauna e le attività umane.
In Svezia il lupo è presente con una popolazione stimata, al 2022, di circa 460 esemplari. Il governo ha recentemente votato per portare la popolazione a 270 individui consentendo, nel primo mese e mezzo del 2023, l’abbattimento di 75 lupi (più del doppio degli scorsi anni). Nel solo mese di gennaio sono stati già uccisi 54 esemplari, a seguito della mobilitazione dei cacciatori che spingono verso la riduzione ulteriore della popolazione a 170 individui. Non mancano le perplessità sulla gestione del predatore dalle parti di Stoccolma, considerando le modalità di abbattimento e lo stato della popolazione. Ai cacciatori è consentito di eliminare interi branchi, compresi di cucciolata dell’anno, eradicando il lupo da intere aree, senza – sembrerebbe – un piano studiato ed elaborato a partire da dati scientifici seriamente indagati. La popolazione di lupo svedese, infatti, è classificata come “vulnerabile” dalla Iucn (International Union for Conservation of Nature) ed è caratterizzata da una bassa variabilità genetica dovuta alla storicamente recente ricolonizzazione del territorio dovuta all’immigrazione di una manciata di lupi dal’Est. Questa vulnerabilità, che espone inoltre la popolazione al rischio di inbreeding, è realmente considerata dalle parti in causa in un Paese dove la cultura venatoria e il “Trophy Hunting” sono particolarmente radicati? e probabilmente lasciano poco margine ad una politica di controllo vera e propositiva anche per l’esistenza del lupo.?
Un approccio ben diverso è quello della vicina Svizzera, dove esiste una normativa ed una prassi lineare, che permette alle popolazioni di lupo di crescere e ad una buona gestione di ridurre o spegnere i conflitti.
Si pensi che dalla sua prima ricomparsa a metà degli anni 90, la specie ha gradualmente raggiunto la consistenza stimata di 240 esemplari, nonostante un’attività di abbattimento legale che ha riguardato 47 individui nel periodo 1998-2022.
Nel nostro Paese la pretesa antropocentrica di dominare ogni angolo del territorio rende più complicato avere una predisposizione alla convivenza con un grande carnivoro. La nostra presunta superiorità sembrerebbe giustificare il dominio oppressivo su tutto ciò che arreca disturbo o fastidio a noi e alle nostre attività. Se dunque, da un lato, la caccia alla specie, in modalità svedese è la conseguenza di un atteggiamento egoistico e risolutore, il controllo mirato della popolazione a partire dalla conoscenza del suo status potrebbe sicuramente risultare un’azione nell’ottica di una vera convivenza che vada anche a valorizzare i punti di forza di un ritorno, quello del lupo, che a larga veduta presenta anche significative opportunità per il turismo e il benessere dei nostri ecosistemi.
In Italia dove sono stati stimati, al 2021, 3.330 lupi, e al loro incremento corrisponde un aumento del numero di segnalazioni di lupi audaci e urbani. Il consiglio dell’Ispra, al momento, è quello di considerare l’uso di tecniche di hazing, come i proiettili di gomma, e la possibilità di catturare o traslocare gli individui problematici.
In conclusione, bisogna avere paura del lupo (o delle vespe o di un cane randagio)? No, se si attua una buona gestione, fatta di monitoraggio approfondito e continuo della presenza del predatore e delle sue interazioni con l’ecosistema e le attività umane.
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