Giordano Riello è un imprenditore nel settore manifatturiero a capo della PMI innovativa Nplus che si occupa sviluppo di tecnologie elettroniche innovative per il monitoraggio di infrastrutture oltre che tecnologie Led per applicazioni nautiche e ferroviarie. Giordano è il quinto della generazione Riello, nota famiglia veneta proprietaria di un gruppo di aziende che conta 2.000 dipendenti di cui la capogruppo è la Aermec. Con questa intervista intendiamo farci raccontare con che sguardo un imprenditore sia di prima generazione e quindi giovane e innovativo, sia di quinta e quindi con un’importante realtà aziendale alle spalle, guarda al lavoro in questo periodo.
Cosa vuol dire per lei essere imprenditore ora, in un momento in cui la sua start-up è diventata un PMI?
Sinceramente, noi siamo sempre stati abituati a lavorare in stato di allarme e confusione in quanto è dal 2008 che si parla di crisi. Attualmente stiamo vivendo una crisi sanitaria che però avrà ripercussioni sull’assetto economico, ed è in questo contesto in cui tutto sembra remarci contro che dobbiamo fare di necessità virtù. Essere imprenditori in questa situazione significa che non bisogna fermarsi e che si deve lavorare nell’interesse del nostro futuro, nell’interesse dei nostri collaboratori e nell’interesse del Paese. Il mercato stava tirando bene, noi eravamo al +20% di fatturato. Le possibilità ci sono, ma non dobbiamo farcele sfuggire. Abbiamo la fortuna che dal punto di vista sanitario siamo in curva discendente, l’Italia deve quindi andarsi a prendere quella fetta di mercato che la crisi in atto lascerà scoperta.
Che tipo di rapporto dovrebbe esserci tra imprenditori e fornitori in questo periodo?
Io lancerei l’hashtag #ioproteggolafiliera. È fondamentale pagare i fornitori e dove non è possibile bisogna attivare dei piani di rientro. Comprendo sia un gesto coraggioso, in quanto nella situazione attuale si cerca di tenere liquidità in azienda, ma è anche vero che sarebbero necessari interventi seri dal punto di vista governativo a sostegno delle imprese che attualmente non ne dispongono. Io al momento vorrei vedere i cantieri funzionare, in quanto è un’attività all’aperto e che può essere svolta in sicurezza. Questo sarebbe un gran messaggio da parte di un Governo lungimirante che vuole fare qualcosa di più concreto.
Nei panni dell’imprenditore di un gruppo di aziende, quale strategie state mettendo in atto.
Mi permetto di capovolgere un paradigma: “pensare locale e agire mondiale”. Lo inverto perché l’Italia ha tutte le caratteristiche tali per cui tutto ciò che fa potrebbe essere esportato in tutto il mondo. Siamo i numeri uno in vari settori: dal meccanico al meccatronico, all’agricolo a quello turistico. E questa è la stessa filosofia che applichiamo alle nostre aziende.
Cosa ne pensa della fase due?
Personalmente ho perso la speranza nei confronti di un Governo ritengo essere in ritardo sull’interpretazione delle esigenze e delle fasi che l’industria dovrebbe vivere. Se prima gli imprenditori spingevano per riaprire immediatamente, adesso il concetto è come riaprire. Infatti, a 60 giorni dal lockdown, le imprese riaprono sì, ma senza lavoro o senza liquidità. Ritengo che siamo forse in una situazione peggiore di quella di prima in quanto non siamo nelle condizioni per poter lavorare.
Cosa pensa accadrà nei prossimi mesi?
Gli scenari che vedo non sono rassicuranti e personalmente non sono assolutamente tranquillo. Nonostante gli imprenditori si stiano ingegnando per reinventare i loro servizi, finché il Governo non interverrà con fondi perduti, non potrà esserci una vera ripresa. Un conto sono le grandi imprese che disponevano di capitale ante crisi e possono quindi investire nell’innovazione, un altro conto sono le micro e piccole imprese che hanno poco da inventare. L’aspetto positivo è che avverto una grandissima voglia di riscatto, la voglia degli italiani di riconquistare quel mercato che gli è stato sottratto e questa voglia fortunatamente è contagiosa.
(Luca Brambilla)