Nuvole nere si accumulano sul futuro degli italiani, e in particolare in quell’ambito di vita sensibile costituito dai nuclei famigliari. Sensibile perché è meno flessibile rispetto al singolo ed è più gravido di responsabilità. Se ciascuno è responsabile della propria vita, dentro una famiglia si è responsabili anche della vita degli altri; il confine della propria esistenza fisica non coincide più con le dimensioni della propria persona, ma riguarda anche (e soprattutto) quella dei propri cari.
Un padre e una madre sono allora due soggetti in relazione permanente con degli altri significativi, alla cui felicità sono stabilmente connessi. La propria salute, il proprio benessere, la propria sicurezza personali sono completamente scavalcati dall’importanza del benessere e della sicurezza dei propri figli. Lo scriveva già Péguy: è la famiglia il luogo nel quale il soggetto si espone e diventa più facilmente attaccabile. Per colpire un padre o una madre basta colpire uno qualsiasi dei loro figli. Quanto al padre di famiglia, preoccupato per tutti, chiosava: “Lui sì, lui sì che le ha veramente, mio povero amico, le relazioni pericolose”.
Chiedersi come le famiglie vedano il post-Covid vuol dire allora entrare nel più reale dei mondi; nella vera e propria prima linea, dove si approntano strategie, si tracciano obiettivi, ci si preoccupa, in maniera diuturna, gli uni degli altri.
Allora diventa importante chiedersi come le famiglie italiane vedano i prossimi mesi, valutino opportunità e pesino i problemi. Lo scenario è, ovviamente preoccupante.
In una ricerca realizzata dal Forum nazionale delle associazioni familiari e da Rcs Sfera Mediagroup su di un campione di 1.344 casi, tratti da un universo di oltre 12.500 famiglie, il 49% delle famiglie intervistate prevede una situazione economica peggiore di quella presente, e il 47% prevede un peggioramento in ambito lavorativo (e sono le donne più degli uomini a vedere un futuro ancora più problematico). L’area di quanti ritengono di poter mantenere una stabilità economica e lavorativa non riguarda che, rispettivamente, il 44 e il 45% degli intervistati.
Una tale previsione ha delle ricadute evidenti nella vita privata. Svago e tempo libero peggioreranno secondo l’avviso del 46% degli intervistati. Nuvole oscure anche sulla cultura e l’istruzione (peggioreranno per il 39%), nonché sulla vita sociale e le amicizie: peggioreranno secondo il parere del 33% degli intervistati.
Al contrario, significativamente diverso sarà il quadro dei rapporti famigliari: solo il 10% ritiene che peggiorerà il rapporto di coppia, solo l’11% vede nuvole nere sull’armonia famigliare e solo il 5% lo vede nei rapporti con i figli. In questo caso è la dimensione positiva a emergere: il 35% prevede addirittura che il rapporto con i figli sarà migliore. E non si tratta affatto di una speranza dei genitori, in quanto sono i figli stessi a manifestare in modo più deciso una simile convinzione.
Nelle famiglie, in pratica, a uno spazio esterno problematico si contrappone uno spazio interno denso di speranza. La preoccupazione viene dall’esterno, non dall’interno.
Ma c’è di più: nei mesi di confinamento gli intervistati dichiarano di aver assistito ad un rinforzo dei rapporti famigliari. La coabitazione ha inciso positivamente nei rapporti di coppia e nei rapporti con i figli, rispettivamente per il 31% e per il 48% degli intervistati. E non si tratta affatto di una maggiore “giocosità” interna come la pubblicità si compiace di rappresentare (al contrario il “tempo ludico di coppia” è rimasto stabile per cinque intervistati su dieci ed è peggiorato per altri tre). Si tratta invece di una migliore collaborazione domestica e di un maggiore dialogo. In pratica il nucleo famigliare ne è uscito potenziato nelle sue virtù interne e nella sua capacità di rinforzare la qualità e l’importanza delle relazioni tra i componenti.
A questo punto non è senza ragioni che un nucleo così ricostituito chieda sostanzialmente un riconoscimento economico direttamente collegato alla genitorialità: un assegno universale mensile di 250 euro per ogni figlio da 0 a 18 anni (come esiste negli altri paesi europei) e, accanto a questo, la riapertura generale delle scuole, mentre veda come decisamente secondarie delle misure di sostegno economico che sono svincolate da una tale funzione (quali la sospensione dei mutui o l’abolizione della tassa sui rifiuti).
In pratica le famiglie hanno le idee chiare e sanno perfettamente dove vogliono andare. L’emergenza Covid ha dimostrato come sia proprio un tale universo a reggere – e non certo da oggi – la società nazionale.
Ciò che c’è di sorprendente è come questo macro-dato non sia visto in modo proporzionale alla sua importanza. L’ideologia dominante, dominio incontrastato della singolarità e dell’individualismo autoreferenziale (singolo o di coppia), occupa costantemente e illegittimamente la ribalta; mentre la famiglia che è collegata immediatamente alla dimensione genitoriale della paternità e della maternità, sembra essere ridotta a uno dei tanti gruppi di pressione, quasi fosse una corporazione accanto alle altre, quando non addirittura un residuo tradizionale. Come se le famiglie non costituissero il nostro nucleo vitale, come se non dipendesse da loro il futuro fisico e morale del nostro Paese. Come se un’Italia senza famiglie potesse rappresentare un futuro credibile e una società abitabile.
È su di una simile falsa coscienza di ciò che si è, su un tale macroscopico esercizio di costante sottodimensionamento, quando non addirittura di esclusione, che si gioca lo scontro culturale essenziale sul quale si decide il futuro di ciò che saremo chiamati a essere.