A Indi Gregory, piccolissima malata inglese di 8 mesi, ieri è stato avviato il distacco dei macchinari che la tengono in vita. Al di là di discussioni cliniche sulle aspettative di vita, rimane un fatto che interroga tutti: quando una vita è degna di essere vissuta? Quando è lecito (se lo è) dire basta? Ed è lecito che sia un tribunale, per legge, a sancirlo?
In una società occidentale che alza a bandiera la sacralità della scelta individuale (“la vita è mia e decido io”, come se davvero ogni uomo fosse un’isola, proprio il contrario di quello che diceva T. Merton) per poi ritirarsi quando questa scelta è in controtendenza rispetto alla direzione che vuole prendere, la vicenda di Indi sembra essere un pugno nello stomaco da nascondere. Che, nonostante tutto, colpisce e fa male, provocando dolore nelle coscienze. Nonostante tutto, è una vicenda da guardare, che fa breccia nelle schiere di chi inneggia alla libera scelta sradicandola dal vissuto umano ed ergendola a diritto assoluto, cioè appunto privo dell’umano. In fondo, se si volesse prendere la libera scelta come criterio ultimo, la richiesta dei genitori di lasciarla vivere forse non vi rientra? Perché allora negarla?
Il fatto poi di porre “nel migliore interesse” della piccola la sospensione dei macchinari vitali fa ancora più riflettere. Forse che, in futuro, nessuno possa più essere curato entro un certo limite? È un pericolo a cui tutti andiamo incontro. Infatti “gli uomini, non avendo potuto liberarsi della morte, hanno deciso, per essere felici, di non pensarci” (B. Pascal, Pensieri, fr. 213 [121]), ma per ogni uomo la morte è un destino inevitabile, una strada a senso unico che può sembrare una condanna già in vita. A meno che essa non diventi una porta che nasconde il senso ultimo delle cose. Per attingerlo, però, occorre abbandonare ogni ideologia in cui siamo misura di noi stessi e degli altri e consegnarsi all’Assoluto (questo sì, esaltazione dell’umano), cioè al Mistero della vita.
In tutta questa vicenda, all’alba dell’Avvento ambrosiano, dove sorgono sempre nuove le antiche parole del profeta (“Un bambino è nato per noi, ci è stato donato un figlio”, Is 9,5), sembra che, in fondo, l’unica speranza, la più certa, sia ancora il Bambino Gesù. Una speranza per la piccola Indi. Una speranza per l’umanità, ancora dilaniata dalla guerra. Una speranza per ognuno di noi.
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