In un’epoca in cui i dati personali sono il nuovo oro nero sia per le imprese che per i governi, il programma indiano Aadhaar si è rivelato un formidabile strumento di intelligence degno della polizia del pensiero orwelliano. Vediamo di che si tratta.
Nel 2001 un gruppo di ministri guidato da L.K. Advani ha annunciato l’imminente lancio di una carta d’identità nazionale obbligatoria. Advani lo ha presentato alla Lok Sabha (camera bassa del parlamento) nel 2003 con un disegno di legge chiamato Citizenship Amendment, che ha esposto l’identità come il pezzo mancante nella costruzione di un potere economico indiano inclusivo. Il testo è molto chiaro, una delle clausole stabiliscono che “il governo centrale può registrare qualsiasi cittadino indiano e dargli una carta d’identità nazionale”, e quindi modifica le clausole relative alla vita privata delle persone nella legge sulla cittadinanza del 1955.
Nel 2009 è stata creata la Unique Identification Authority of India (Uidai), guidata da Nandan Nilekani, ingegnere e cofondatore di Infosys, la seconda più grande azienda IT dell’India.
Nel 2010, l’Uidai ha lanciato il programma Aadhaar, una carta d’identità con un numero casuale di 12 cifre univoco per i residenti indiani dopo aver superato il processo di registrazione: impronte digitali, scansione di entrambe le iridi, una foto del viso più nome, sesso, data e luogo di nascita. La registrazione è gratuita e tutti sono i benvenuti, indipendentemente dall’età, dal sesso o dal tenore di vita. Inoltre, il numero Aadhaar può essere utilizzato come identificatore di base per implementare più programmi di protezione sociale e programmi governativi per un’erogazione efficiente dei servizi, promuovendo così la trasparenza e il buon governo. Chiaramente, il numero Aadhaar consente a chi ce l’ha di beneficiare direttamente dei benefici sociali statali nel conto bancario.
In questo modo l’Aadhaar è diventato uno strumento politico strategico per l’inclusione sociale e finanziaria e per la gestione del bilancio fiscale. Aadhaar può essere utilizzato come indirizzo finanziario permanente e facilita l’inclusione finanziaria delle fasce svantaggiate e più deboli della società, ed è quindi uno strumento di giustizia e uguaglianza distributiva. Il programma Aadhaar ha già raggiunto diversi traguardi ed è di gran lunga il più grande sistema di identificazione basato su dati biometrici al mondo. L’obiettivo è ridurre la corruzione cronica nei finanziamenti pubblici ed eliminare le duplicazioni tra i beneficiari al fine di migliorare l’efficacia degli aiuti concessi.
Ma in realtà si tratta di una doppia esca: da un lato l’opportunità di beneficiare con certezza degli aiuti pubblici, dall’altro il timore di non beneficiarne se non si rientra nel programma. Dal lancio, le registrazioni sono infatti aumentate vertiginosamente.
Infatti oltre il 90% della popolazione ha un numero di Aadhaar, ovvero 1,272 miliardi di persone. Il successo del progetto sembra totale. È persino elogiato all’estero: un rapporto sullo sviluppo globale della Banca mondiale del 2016 indica che molte sovvenzioni vengono convertite in trasferimenti diretti tramite l’identificazione digitale, il che potrebbe far risparmiare più di 11 miliardi di dollari all’anno nella spesa pubblica attraverso la riduzione delle perdite e i guadagni di efficienza.
Tuttavia, per salvaguardare i contadini da eventuali abusi, la Corte suprema dell’India ha emesso due principali sentenze in materia: una prima nel 2013 stabilisce che nessuno dovrebbe essere discriminato dai programmi sociali pubblici con il pretesto di non avere un numero Aadhaar, che non è obbligatorio; una seconda nel 2018 per la tutela della privacy vieta alle aziende di richiedere ai propri clienti di avere un numero Aadhaar per ottenere un servizio.
Ciò nonostante il suo utilizzo sta diventando essenziale in numerosi settori. Ad esempio, è quasi sempre necessario averla per iscriversi a una scuola o università, per aprire un conto bancario, per pagare le tasse o iscriversi a una linea telefonica. Centinaia di milioni di indiani hanno così aperto un conto bancario con la loro carta Aadhaar per beneficiare direttamente degli aiuti pubblici senza rischiare l’appropriazione indebita di corruzione.
Fra i numerosi problemi vi sono quelli di connessione ad internet o di accesso all’elettricità, ancora molto diffusi in India, che provocano spesso tragicamente lunghe latenze tra la data della richiesta e quella della distribuzione di una razione alimentare, ad esempio.
Il dispositivo Aadhaar solleva interrogativi anche dal punto di vista tecnologico, dal momento che i meccanismi biometrici che si basano sul riconoscimento facciale e sulle impronte digitali aprono la strada al “capitalismo della sorveglianza”. Infatti, il database Uidai memorizza i tratti del viso di milioni di persone che vengono poi analizzati per scopi politici o commerciali. La graduale implementazione di un’imponente rete di telecamere di sorveglianza consente quindi al governo indiano di disporre di algoritmi che elaborano questi dati per definire se una persona è sospetta o meno. La rappresentazione matematica di milioni di volti rende possibile questo tipo di analisi.
In altre parole, il volto di tutti è potenzialmente quello di un colpevole, o almeno è scientificamente usato per ammettere la colpa di un individuo. Durante le rivolte di Delhi del 2020, le dichiarazioni del ministro dell’Interno Amit Shah hanno suggerito che i dati di Aadhaar erano stati utilizzati per identificare i volti di pericolosi rivoltosi e assassini (53 morti, oltre 200 feriti e 2.200 arresti).
E poiché il numero Aadhaar è utile per una serie di servizi commerciali, l’Uidai memorizza una notevole quantità di dati su ogni persona: istruzione, biglietti ferroviari e aerei, prelievi di contanti e operazioni bancarie, telefonate, geolocalizzazione. Insomma agisce né più né meno come una vasta rete di sorveglianza. Esattamente come accade in Cina. Proprio per questa ragione i paesi occidentali a tradizione liberale devono sorvegliare – il termine non sembri paradossale – con estrema attenzione l’uso e soprattutto l’abuso delle tecnologie di sorveglianza che sono già diventati degli strumenti molto efficaci per gli stati in grado di controllare scientificamente l’operato dei cittadini. Orwell è insomma sempre più vicino.
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