Tra le poche cose che non sono mai cambiate da quando è cominciata la pandemia Covid troviamo le perplessità sull’indice Rt, che indica il tasso di contagiosità del coronavirus. È definito come il numero medio di casi generati da un individuo infetto in una popolazione dove tutti sono suscettibili all’infezione. Da mesi gli esperti lo hanno criticato perché non è un calcolo in grado di fornire una “fotografia” attuale dell’epidemia, eppure è uno dei parametri che viene tenuto in forte considerazione quando si analizza l’andamento epidemiologico. Tra chi suggerisce di rivedere il sistema ci sono i professori Antonello Maruotti (Lumsa), Massimo Ciccozzi (Campus Bio-Medico) e Fabio Divino (Università del Molise), che hanno firmato e pubblicato un articolo sul Journal of Medical Virology criticando l’uso di questo strumento per decidere le chiusure: «Purtroppo, in Italia, l’Rt non viene utilizzato solo per fornire un quadro della diffusione epidemica, ma piuttosto come strumento decisionale per pianificare e organizzare interventi non farmacologici, imponendo soglie a priori per definire diversi livelli di rischio, su cui applicare le restrizioni della vita quotidiana».
Nell’articolo in questione i tre esperti avvertono: «Crediamo che questo sia un uso improprio di Rt, pericoloso e poco affidabile. Per questo motivo, è importante che questo parametro come indicatore per le misure di restrizione debba essere gestito da un esperto del settore».
LO STUDIO: TUTTI I LIMITI DELL’INDICE RT
Antonello Maruotti
, Massimo Ciccozzi e Fabio Divino sono fortemente critici: «Le restrizioni imposte alla popolazione sono basate su una stima inaffidabile del numero di riproduzione». La “qualità” delle stime dell’indice Rt dipendono dalla scelta della finestra temporale. «Valori piccoli portano a un rilevamento più rapido dei cambiamenti nella trasmissione ma anche a un maggiore rumore statistico (variazione inspiegabile, ndr); valori grandi portano a un maggiore livellamento e a una riduzione del rumore statistico». Questo basterebbe per concludere che l’indice Rt andrebbe usato con cautela, eppure ha anche altri limiti. Ad esempio, c’è la questione dell’intervallo seriale di riferimento, cioè il tempo tra l’insorgenza dei sintomi di un caso e di quella dei casi secondari. In Italia si basa su 90 coppie di casi in Lombardia nel mese di febbraio, ma è stimato male ed è usato anche per tutte le altre regioni italiane, senza essere mai aggiornato. Inoltre, anche il ritardo tra la data di ricezione del risultato del test e quella di registrazione tra i dati ha un ruolo cruciale. «Maggiore è il ritardo, meno accurata è la stima di Rt a causa delle informazioni mancanti riguardanti i casi di incidenza che non sono ancora registrati».
Di conseguenza, l’indice Rt potrebbe essere distorto e in significativo ritardo rispetto all’attuale evoluzione del processo epidemico. Servono, quindi, aggiustamenti statistici per ottenere stime accurate di Rt secondo i tre esperti. Infatti, nel monitoraggio settimanale dell’Istituto superiore di sanità (Iss) gli intervalli sono ampi e pure enormi in alcune regioni. «L’alta incertezza che circonda queste stime è una chiara indicazione che l’uso dell’indice Rt deve essere limitato per fornire una tendenza nella diffusione dell’epidemia». Lo studio si conclude con un’amara metafora che rende bene l’idea, più delle spiegazioni scientifiche: «Alla fine dei giochi l’indice Rt sembra una ballerina, che balla la musica a seconda dell’attuale direttore dell’orchestra che la esegue».