Leggendo con attenzione i dati prodotti dallo studio di Ucimu intitolato “Il parco macchine utensili e sistemi dell’industria italiana” dobbiamo soffermarci a riflettere sui risultati.

Essi vanno valutati entrando nei dettagli che già possono rappresentare il reale sviluppo del manifatturiero nazionale degli ultimi cinque anni.



Ci sono dei “postulati” che vanno sottolineati:

a) Industria 4.0, ora Transizione 4.0, ha permesso alle nostre imprese investimenti capaci di stravolgere positivamente il lavoro nelle fabbriche, rendendole più competitive;

b) il numero assoluto di macchine e sistemi installati presso le imprese italiane risulta in netta crescita (+22,6%) rispetto alla rilevazione del 2014, a fronte di un ridimensionamento del numero di aziende del comparto metalmeccanico. Tutto ciò, grazie agli incentivi 4.0 che hanno permesso l’ammodernamento dei sistemi di produzione;



c) la parte di 4.0 riguardante la possibilità di retrofit o revamping su vecchi macchinari ha portato miglioramento produttivo e anche economico, ambientale e sociale, maggiore automazione e minore fatica nelle aziende.

Non c’è da meravigliarsi per l’incremento dell’età media dei macchinari, significa solo che a fronte di nuovi ingressi non c’è stata una pari dismissione (da 12 anni e 8 mesi nel 2014 agli attuali 14 anni e 5 mesi).

Questo può significare la speranza e la volontà di molte aziende di incrementare il proprio livello produttivo, migliorare la propria competitività aggiungendo digitalizzazione in fabbrica, inserendo i nuovi impianti ma, contemporaneamente, esprimendo l’esigenza di dover utilizzare, magari solo per operazioni spot, anche i macchinari già presenti.



Bisogna, altresì, prendere atto che solo una parte minoritaria di aziende ha iniziato la transizione verso 4.0, dotandosi e interconnettendo macchinari all’avanguardia provvisti di nuova sensoristica e comandati con software avanzati.

Se però guardiamo alla realtà delle nostre aziende, quasi esclusivamente Pmi, dobbiamo comprendere che un periodo di soli cinque anni è limitato per far scendere “il verbo” dalle imprese più strutturate, e dotate di numeri e d’organizzazione necessaria per rispondere alla mission indicata da Industria 4.0, alle Pmi, per molte delle quali l’ingresso di una macchina di nuova concezione già rappresenta un grande balzo in avanti.

È evidente che, in una Pmi che possiede dieci macchine, l’ingresso di una nuova porta comunque, materialmente, a valutare un aumento dell’obsolescenza del suo parco macchine. L’ingresso di una macchina di anni zero, importantissima per l’azienda, non si compensa con l’anno in più delle altre dieci, ma l’impresa ha, sicuramente, migliorato il proprio livello tecnologico.

Dove si dovrebbe agire?

1) Sulla comunicazione. Si è voluto cambiare il metodo di incentivazione proprio quando le aziende stavano comprendendo il super e l’iperammortamento. Non è stata fatta una capillare comunicazione e ciò ha, in parte, reso incomprensibili le nuove opportunità incentivanti.

2) Sul fattore tempo. Il completamento della missione indicata da 4.0 non finirà mai, perché il traguardo, partita la corsa, sarà costantemente portato in avanti, per cui le misure devono diventare strutturali. Le aziende hanno bisogno, specialmente di fronte a una problematica così complessa, di programmare. Questo obbliga ad avere certezza di sostegno per un tempo almeno medio e con un metodo definito.

3) Sull’organizzazione. Quanto indicato dalle imprese trainanti, deve spingere tutto il settore manifatturiero a rivedere in termini di modernizzazione le proprie aziende, ben comprendendo che, parlando di digitalizzazione e di nuovi software, essi debbono essere applicati su hardware di ultima generazione.

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