Da un lato, c’è stato il continuo stop & go del canale dei consumi fuori casa. Dall’altro, la riprogrammazione da parte delle aziende degli investimenti in capacità produttiva, posticipati all’anno successivo. Un combinato disposto che ha portato nel 2020 il settore alimentare a registrare una contrazione della crescita dell’1%.



Un segno meno che pure è ben distante dal valore fatto segnare complessivamente dall’economia italiana, penalizzata da un ben più pesante -8,9%. Il 2021 e 2022, però, segneranno una ripresa, con una crescita prevista di poco inferiore al 6% annuo, un tasso superiore quindi alla previsione di crescita del Pil italiano, compresa tra il 4,5% e il 5%. E la ripartenza riguarderà anche l’export, destinato nel biennio a mettere a segno un incremento medio del 3%.



A dirlo sono i risultati emersi dalla annuale release del Food Industry Monitor, l’osservatorio di riferimento sul settore food italiano realizzato dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, in collaborazione con Ceresio Investors, che ha valutato le performance di 854 aziende con un fatturato aggregato di 66 miliardi di euro, ovvero il 75% di tutte le società di capitale operanti nel settore.

L’analisi rivela che a crescere maggiormente sarà il comparto delle farine come anche quello del packaging, che beneficerà in particolare della spinta proveniente dal redesign sostenibile. Bene però faranno anche i settori del caffè e del vino, interessati da crescite importanti, trainate dalla forte ripresa dei consumi fuori casa. E molto positive sono pure le previsioni per il comparto del food equipment, ovvero delle forniture professionali per la ristorazione, trainato dai nuovi investimenti stimolati dal Recovery Plan.



Sostenibilità e performance

A sostenere questo percorso di espansione, si candida il volàno della sostenibilità. Stando all’analisi, infatti, il tema green è ormai centrale nelle strategie della food industry. I dati parlano chiaro: l’81% delle aziende intervistate si ritiene sostenibile e il 56% afferma di avere già messo in atto una strategia di sostenibilità. E ancora, il 78% conta nella propria gamma uno o più prodotti sostenibili. Ma la scelta non si limita ai processi produttivi: il 54% del campione è intervenuto sul packaging e il 44% valuta la sostenibilità anche dei propri fornitori, nel momento in cui li seleziona. Inoltre, il 74% delle imprese interpellate ritiene che attuare una strategia di comunicazione sul tema abbia un impatto positivo sulle vendite, nonostante il 63% ritenga che processi produttivi sostenibili implichino un aumento dei costi aziendali.

Ma sono soprattutto i budget destinati alle politiche “verdi” a rappresentare la cartina di tornasole del fenomeno, dandone la misura. “Ben il 93% delle aziende – afferma Alessandro Santini, Head of Corporate & Investment per Ceresio Investors – dichiara di aver realizzato negli ultimi 5 anni investimenti in questa prospettiva e l’80% conta di effettuarne altri nei prossimi 3 anni”. Ma non solo. “Mediamente le imprese italiane – continua Santini – hanno incrementato i propri investimenti green del 38,8% negli ultimi 5 anni, a testimonianza dell’inizio di un trend di cambiamento strutturale”.

Quella in atto è insomma una svolta, che promettere di dare riscontri positivi non solo sul fronte ambientale, ma anche su quello economico. “Le aziende che hanno una strategia di sostenibilità formalizzata, che hanno aumentato gli investimenti in sostenibilità negli ultimi 5 anni e che comunicano in modo efficace le proprie scelte – osserva Carmine Garzia, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio, docente di Economia Aziendale presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo – hanno performance di crescita decisamente superiori. Le imprese che hanno investito in sostenibilità infatti hanno un approccio proattivo all’innovazione, in particolare di processo, e questo si riflette sulle performance di crescita sia nel medio periodo sia nel lungo periodo”.

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