Il 2022 è stato un anno di crescita per l’economia mondiale, nonostante lo scoppio della guerra in Ucraina, le sanzioni, i problemi con le forniture di gas e il ritorno dell’inflazione a livelli mai visti dagli anni ’70 del secolo scorso.
Il Pil mondiale è cresciuto del 3,3%, con i Paesi emergenti che hanno fatto poco meglio di quelli industrializzati (3,6% contro 2,6%). A livello globale i prezzi sono cresciuti del 9%, in questo caso con una maggiore penalizzazione per i Paesi emergenti.
Tra i grandi Paesi emergenti è da segnalare il sorpasso, come tasso di crescita, dell’India (+6,8%) sulla Cina (+3,2%), anche perché la seconda seguiva ancora una rigida politica “Zero Covid” che comportava blocchi dell’attività economica in intere provincie. Tra i Paesi industrializzati, si distingueva per la forte crescita l’Europa: +3,5% l’Unione Monetaria Europea e +4% il Regno Unito. Meno brillanti i dati relativi agli Stati Uniti (+2,1%) e al Giappone (+1%).
Andando a concentrare l’attenzione sui Paesi europei, nel gruppo dei migliori spiccano la Spagna (+5,5%) e l’Italia (+3,8%), la cui economia cresce più di quella di Paesi quali Francia (+2,6%) e Germania (+1,9%).
I numeri evidenziano che il modello tedesco (grandi gruppi, pochi settori di punta, focus sul mercato cinese, forte dipendenza dal gas russo) è in difficoltà, mentre quello italiano (imprese medie, al più medio-grandi, filiere legate al territorio, export estremamente differenziato per prodotti e mercati) risulta vincente.
Questa osservazione è confermata dai dati relativi al primo trimestre del 2023: tra le prime sei economie avanzate (Usa, Giappone, Germania, Italia, Francia e Regno Unito), l’Italia è prima sia per crescita del Pil rispetto al primo trimestre 2022, sia per crescita degli investimenti. La Germania è l’unico paese in cui il Pil scende, mentre negli Usa sono gli investimenti a diminuire.
Come è possibile che l’Italia, smentendo luoghi comuni sulla decadenza economica e previsioni negative, sia l’economia con i migliori risultati? Per questo possiamo collegarci ad alcune osservazioni del Prof. Fortis e individuare due cause fondamentali:
1) il ritorno della politica industriale, nella forma dei vari Piani 4.0 che fin dalla seconda metà degli anni ’10 incoraggiano gli investimenti in macchinari e l’ammodernamento della struttura produttiva;
2) la capacità del Governo di Mario Draghi di mettere in campo efficaci politiche per difendere il potere d’acquisto delle famiglie e sostenere i consumi delle famiglie; politiche che sono proseguite anche con il successivo Governo retto da Giorgia Meloni.
Anche nel settore delle macchine utensili per la lavorazione dei metalli, le macchine alla base di tutta la manifattura, dette anche le macchine che servono per fare le macchine, il 2022 è stato caratterizzato dalla prosecuzione della crescita, che ha consolidato i risultati ottenuti nel 2021; grazie al +13,1% registrato, la produzione ha raggiunto i 79,5 miliardi di euro. Alla composizione del valore totale hanno contribuito l’Asia per il 56,9%, l’Europa per il 33,9% e le Americhe per l’8,9%.
A livello mondiale la Cina ha confermato il primo posto con 25,7 miliardi; al secondo posto si è piazzata la Germania, con 9,7 miliardi. L’Italia ha confermato il quarto posto globale e il secondo in Europa con 6,5 miliardi. In termini di crescita sul 2021, i costruttori italiani, con un +14,9%, hanno fatto meglio dei colleghi tedeschi (+8,8%).
La distanza tra i due principali Paesi europei in termini di consumo di macchine utensili, cioè di investimenti in questi fondamentali mezzi di produzione, è stata molto minore: 5,4 miliardi per la Germania e 5,2 miliardi per l’Italia. L’avvicinamento del mercato italiano a quello tedesco è frutto, nel medio periodo, della forte spinta agli investimenti data dai Piani 4.0 negli ultimi 6-7 anni e, nell’immediato, della più rapida capacità di ripresa dell’economa italiana e del settore in particolare dopo la crisi del 2020.
Nel primo trimestre del 2023, l’indice degli ordini di macchine utensili, l’indicatore più importante per capire le tendenze a 6-9 mesi, segna un calo del 24% rispetto al periodo gennaio-marzo 2022, attestandosi a 125 (con base 100 nel 2015). Nonostante il calo segnali un evidente rallentamento, analogo a quelli registrati negli altri Paesi protagonisti in tale settore, la situazione è lontana dall’essere preoccupante per una serie di ragioni, la prima delle quali è il valore ancora molto alto dell’indice; inoltre, le imprese hanno portafogli ordini ricchi che garantiscono lavoro fino alla fine dell’anno.
In prospettiva è importante che, da un lato, proseguano gli sforzi per riorganizzare l’attività delle imprese nella direzione della digitalizzazione e della sostenibilità, le “rivoluzioni gemelle” a cui tutti devono adeguarsi e, dall’altro, che si potenzino le attività di internazionalizzazione, trovando le forme più adeguate alla struttura industriale del settore, che in Italia è formato da aziende di medie e piccole dimensioni, quasi sempre a conduzione familiare.
Proprio questa situazione impone alle autorità di Governo la necessità di un intervento sussidiario alla capacità economica delle famiglie imprenditrici che, in momenti di rivoluzione industriale, non è sufficiente per sostenere i costi necessari a migliorare la capacità competitiva aziendale.
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