Uno studio pubblicato sul Journal of Cleaner Production e condotto da alcuni economisti italiani ha evidenziato come la transizione green preveda una trasformazione produttiva epocale: questa genera anche nuove necessità tecnologiche. L’Europa rischia così di passare dalla dipendenza dei carburanti fossili a quella di chi ha in mano in mercato delle tecnologie green. In particolare, con il Green Deal, la Commissione Europea si è posta come obiettivo quello di ridurre del 55% le emissioni nette di gas entro il 2030. Il ruolo chiave lo avrà la produzione di energia del fotovoltaico, con l’obiettivo di installare almeno 325 nuovi gigawatt di moduli solari oltre agli attuali 263. Questo aumenterà del doppio la capacità di sfruttare l’energia solare.
Questi nuovi moduli, come sottolinea Il Fatto Quotidiano, non provengono però dall’Europa, che ha una capacità produttiva ancora troppo bassa per soddisfare la domanda. Così importiamo dalla Cina il 95% dei pannelli che installiamo ogni anno. Gli autori dello studio, economisti italiani, hanno ricostruito la filiera produttiva e gli scambi commerciali nel settore. Nel 2007 l’Europa deteneva il 30% del mercato fotovoltaico ma dieci anni dopo questo è sceso al 3%. La dipendenza dell’Europa è dunque particolarmente forte, principalmente per quanto riguarda i vetri solari, i generatori DC di tipo 1, gli invertitori, celle e moduli. Ma perché è avvenuto un simile tracollo del mercato UE?
Perché l’UE dipende dalla Cina nell’industria fotovoltaica
A cambiare le carte in tavola per quanto riguarda la produzione nel mercato fotovoltaico è stato l’ingresso della Cina, che ha portato ad un “eccesso di offerta” con “il calo dei prezzi”. Questi fattori non sono però l’unica spiegazione per il successo della Cina. Dietro la scalata all’industria fotovoltaica ci sono anche politiche industriali attente con forti investimenti pubblici e sostegno finanziario ai produttori, miglioramenti organizzativi, diversificazione ecc. Questi fattori hanno a loro volta favorito le innovazioni nella tecnologia e nei processi industriali. L’UE, invece, si è affidata ai sussidi con l’obiettivo di ampliare l’utilizzo del fotovoltaico nel continente, con poca attenzione alle dinamiche produttive.
Questo ha creato una discrepanza con la Cina, che invece continua a produrre mentre l’UE non lo fa più. “In linea di principio gli obiettivi ambientali possono essere raggiunti adottando una strategia di ‘acquisto dall’estero’ (…). Tuttavia, questa opzione comporta conseguenze rilevanti per le dipendenze strategiche tecnologiche e produttive” fanno sapere gli studiosi. Infatti, rischiamo così di passare dalla dipendenza dei fossili ad un’altra, quella dalla tecnologia cinese, mettendo a repentaglio la transizione green e la sostenibilità del sistema economico. È una questione di autonomia strategica, spiega Il Fatto Quotidiano: nel contesto attuale del mercato fotovoltaico, non ci sono condizioni di parità e le risorse non sono distribuite in maniera uniforme. Ciò, dunque, limita “la capacità di soddisfare la domanda e di perseguire il cambiamento strutturale e di realizzare le grandi missioni come la decarbonizzazione” fanno sapere ancora gli studiosi.