Dopo il segnale forte arrivato dall’Assemblea di Confindustria, la maggioranza in Parlamento potrebbe presto approvare una mozione per impegnare il Governo a proporre in sede europea di rivedere il percorso del Green Deal. Un obiettivo che sembra essere condiviso dall’Ungheria, Presidente di turno dell’Ue. Resta da capire se la nuova Commissione apporterà delle modifiche al percorso di transizione energetica. L’industria italiana, spiega Mario Deaglio, Professore emerito di economia internazionale all’Università di Torino, «è a mio avviso caratterizzata da tre elementi. Il primo è il forte collegamento strutturale con la manifattura tedesca, in particolare a livello di forniture. Il secondo è l’aver investito poco negli ultimi 10-15 anni, con effetti non positivi sulla produttività del lavoro».
Ci sono però stati gli investimenti di Industria 4.0.
Vero, ci sono stati degli investimenti in alcuni settori, ma è la grande industria ad aver investito poco, a cominciare da quella dell’auto. Certo, bisognava tenere conto della situazione internazionale, ma quello che era un pezzo importante della grande industria italiana non ha investito ed è già tanto che non abbia disinvestito.
Qual è il terzo elemento che caratterizza l’industria italiana?
Ci sono piccoli segmenti industriali che sono molto avanzati e rappresentano delle eccellenze a livello mondiale. Tuttavia, molti di essi hanno investito più all’estero che nel nostro Paese. È come se ci fosse una seconda industria italiana che sta fuori dai nostri confini.
La nuova Commissione europea, di cui ora conosciamo la composizione, cambierà il Green Deal per non danneggiare l’industria?
Per quel che riguarda l’auto, penso sia una necessità, anche perché in pochi sembrano voler comprarne una elettrica. Bisognerà, quindi, rivedere lo stop alla vendita di quelle con motore endotermico dal 2035. E prendere poi una decisione: vogliamo mettere la nostra manifattura a disposizione dei cinesi, fornendogli quindi gli operai per realizzare i loro prodotti e brevetti, oppure abbiamo la capacità di fare qualcosa di più?
In questo senso l’avanguardia in Europa è sempre stata la Germania. C’è la possibilità che la sua industria possa riprendersi, in modo che possa beneficarne anche la nostra?
Sicuramente ci proverà, ma non è facile e nemmeno immediato. Bisognerebbe sperare in un cambiamento nel modo di pensare degli industriali. Tuttavia, a differenza del dopoguerra, quando si trattava di singole persone ben identificabili, oggi abbiamo sempre più strutture finanziarie che indirizzano i loro capitali e investono quando vogliono su alcuni settori. Mi piacerebbe vedere degli italiani che investono in Italia. È vero che è difficilissimo farlo anche per via della burocrazia, ma bisognerebbe capire come sbloccare questa situazione.
La Germania è da tempo in difficoltà anche politica. Le elezioni che ci sono state in Brandeburgo lo scorso fine settimana aiutano a risolverla?
I risultati possono essere considerati positivi dai socialdemocratici. Il che rende difficile pensare che la coalizione semaforo, che finora non è stata in grado di prendere decisioni importanti per dare una scossa al Paese, non possa durare fino alla scadenza naturale della legislatura. Anche perché, come abbiamo visto nel recente passato, in Germania la stabilità politica è considerata più importante che altrove. Solo che il mondo non aspetta e questa situazione politica non aiuta l’economia.
Cosa pensa, invece, della scelta un po’ a sorpresa della Fed della scorsa settimana di tagliare i tassi di mezzo punto?
Il mese scorso è emerso che nell’anno terminato a marzo gli Stati Uniti hanno creato oltre 800.000 posti di lavoro in meno rispetto a quelli previsti: una variazione negativa del 30% circa. Questo dato, insieme ad altri fattori, ha spinto la Fed a stimolare maggiormente l’economia, che, pur andando meglio di quella europea, non sta procedendo alla velocità desiderata.
Dunque, se l’economia europea stenta, anche quella americana non va benissimo. E quella cinese?
La Cina ha molti problemi, ma un po’ tutto il mondo li ha: non c’è nessun area, nessun Paese, a parte qualcuno nelle zone più periferiche, che sta veramente andando bene. Il cuore del sistema non pulsa a dovere.
L’area del dollaro resta comunque ancora la più forte o i Brics sono ormai vicini al sorpasso?
Per il momento il dollaro tiene. Non bisogna però dimenticare che in Cina si ragiona su tempi lunghi, non c’è fretta nel cercare di effettuare questo sorpasso.
(Lorenzo Torrisi)
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