Tra gli ospiti dell’incontro “Accettare la sfida del cambiamento per crescere”, in programma oggi al Meeting di Rimini, c’è anche Marco Hannappel, Presidente e Amministratore delegato di Philip Morris Italia, azienda che compie 60 anni di attività e che è tra quelle che più investono in innovazione e sviluppo. Come ci spiega lo stesso Hannappel, che è anche Presidente Europa Sud-Occidentale di Philip Morris International, «quella di Philip Morris in Italia è una storia di innovazione e di crescita insieme al territorio. Abbiamo scelto di investire in questo Paese sin dai primi anni ’60 – con la nostra fabbrica di Zola Predosa, in provincia di Bologna – per le competenze di alto livello che questo territorio è in grado di esprimere in ambito manifatturiero. La presenza a Bologna di uno stabilimento produttivo specializzato in produzioni complesse ha giocato un ruolo importante, in tempi più recenti, per rendere l’Emilia-Romagna il motore di una nuova filiera specializzata in prodotti fino a pochi anni fa inesistenti. A questo va aggiunto che, insieme a Coldiretti, abbiamo creato negli anni una filiera agricola che interessa soprattutto Campania, Toscana, Umbria e Veneto, la cui produzione rende la tabacchicoltura italiana la più importante d’Europa, e di cui noi siamo i principali acquirenti. Oggi contiamo su una filiera integrata del Made in Italy che coinvolge circa 40mila persone tra il settore primario, la manifattura e i servizi. Con questa filiera, che rappresenta un fiore all’occhiello per tutta l’azienda a livello globale, dal 2016 abbiamo intrapreso un percorso volto a eliminare le sigarette tradizionali nel più breve tempo possibile grazie ai prodotti alternativi senza combustione».



Cosa servirebbe, a suo avviso, per rilanciare l’Italia e la sua economia?

Continuare a investire sempre di più sulla vocazione manifatturiera di questo Paese, che è il principale traino della nostra economia, guardando al futuro, e quindi alla capacità di sviluppare competenze ad alto valore aggiunto. Stiamo facendo la nostra parte: oltre agli investimenti per miliardi di euro degli ultimi anni, nel 2022 abbiamo inaugurato il Philip Morris Institute for Manufacturing Competences, un polo per lo sviluppo di competenze per l’industria 4.0, realizzato grazie a partner di alto profilo come l’Università di Bologna, il Politecnico di Bari, ma anche la platea degli Istituti tecnico-scientifici, aperto non soltanto alle nostre persone ma anche all’intera filiera produttiva, ai territori in cui operiamo e al mondo della formazione accademica e tecnica, con l’obiettivo di ridurre il gap tra il mondo della formazione e delle imprese.



Le transizioni digitale ed ecologica sono le sfide che cambiano il modo di fare impresa. Come avete deciso di affrontarle?

Sono due facce della stessa medaglia e, per quanto riguarda il nostro settore, rappresentano una leva strategica per continuare a garantire maggiore competitività e sostenibilità alla filiera tabacchicola, consentendole di mantenere il suo primato a livello europeo. Combinando digitalizzazione e buone pratiche di sostenibilità ambientale possiamo mantenere alta la qualità nella filiera agricola, ottimizzando l’uso delle risorse. È ciò che sta avvenendo con le 1000 imprese tabacchicole coinvolte nella nostra filiera agricola grazie agli accordi pluriennali con Coldiretti e con il ministero dell’Agricoltura; e lo stesso vale anche per la nostra realtà manifatturiera: il nostro impianto di Bologna oggi è anche il nostro Centro di eccellenza industriale per lo sviluppo delle pratiche di sostenibilità, che oltre ad applicare “in casa” esportiamo anche all’estero, in tutti gli stabilimenti produttivi del gruppo Philip Morris.



Continuate a investire sui giovani sullo sviluppo del capitale umano e anche quest’anno avete ricevuto la certificazione “Top Employer”. Quali sono le leve per attrarre i giovani talenti?

Nel nostro caso si tratta innanzitutto della possibilità di dare un contributo al raggiungimento di un obiettivo molto ambizioso come è quello di eliminare le sigarette trasformando il settore dall’interno: parliamo di una delle più grandi trasformazioni nella storia dei beni di largo consumo, e quindi di un percorso professionalmente stimolante. Lo è ancor più perché a dispetto di alcuni scetticismi iniziali, oggi è chiaro che l’obiettivo è a portata di mano: sono sempre di più i fumatori che passano ai prodotti senza combustione e lo fanno senza tornare indietro. Al netto del valore della missione, e quindi del merito, è importante anche il metodo, il “come”. Ciò che offriamo alle nostre persone sono le migliori condizioni lavorative possibili, la parità salariale uomo-donna (Philip Morris è stata la prima azienda in Italia a ricevere la certificazione “Equal Salary”) e soprattutto opportunità concrete di sviluppo e apprendimento professionale per la creazione di competenze altamente specializzate. E per essere certi di fare le cose per bene, utilizziamo meccanismi di certificazione esterna che ci aiutano a mantenere i nostri standard costantemente alti.

Come sta cambiando il mondo del lavoro?

Bisogna prepararsi a modelli di lavoro efficaci che permettano ai lavoratori di trovare un equilibro tra il lavoro e la vita privata. Dopo anni di pandemia le persone sono meno disposte a rinunciare a una gestione più flessibile del proprio tempo. Chiaramente, soprattutto per alcuni settori, i luoghi fisici restano fondamentali sia per lo sviluppo della persona sia del business, ma devono essere integrati con gli spazi virtuali. Allo stesso modo, conta sempre di più poter lavorare in un ambiente inclusivo, di cui si condividono i valori e che garantisca uguali opportunità di crescita.

Voi avete dichiarato di voler costruire un futuro senza fumo. Siete impegnati a sostenere il tema della riduzione del danno anche investendo in ricerca scientifica oltre che nello sviluppo di prodotti senza combustione. Perché, secondo lei, il concetto di riduzione del rischio, già applicato in medicina nei danni da alcool, nell’alimentazione, nelle malattie infettive, stenta a essere applicato al tabagismo?

Le resistenze sono spesso determinate da un certo pregiudizio ideologico che sceglie di non tenere conto di numerose evidenze scientifiche e che, come risultato, tende a lasciare il fumatore da solo e senza reali strumenti di supporto. Eppure, in questi anni abbiamo visto crescere il consenso di diversi esponenti della comunità medico-scientifica sulla validità delle alternative tecnologiche per i fumatori che non smettono.

Quanto potrebbe essere vincente un’impostazione No Smoking in un Paese come il nostro dove fumano 12,4 milioni di persone? Non sarebbe più utile un tavolo scientifico che affronti il problema del tabagismo senza pregiudizi e senza posizioni ideologiche?

La prevenzione e la cessazione completa del fumo sono e rimarranno sempre la migliore alternativa al fumo, su questo siamo tutti d’accordo. L’esperienza, non solo italiana, ci dimostra, tuttavia, che questo approccio non è sufficiente da solo a porre fine al fenomeno del fumo. Credo che, al pari di altre esperienze, sul tema del fumo dovrebbe prevalere un approccio pragmatico basato su evidenze scientifiche documentate e liberamente accessibili, e teso al confronto sulla base di queste evidenze.

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