Non è arrivato certo un buon segnale dall’industria italiana. L’Istat ha infatti comunicato che la produzione industriale a novembre è salita dello 0,1% in termini congiunturali, facendo però segnare un calo tendenziale dello 0,6%. È quasi certo che il 2019 si chiuderà con un dato negativo (da gennaio a novembre la diminuzione è stata pari all’1,1%), cosa che non succedeva dal 2014. «Questo è il dato di fondo ed è forse la sfida principale per la politica quest’anno. Anche perché se fino a pochi anni fa eravamo senza dubbio il secondo Paese manifatturiero d’Europa, già nel 2019 si è cominciato a parlare di sorpasso da parte della Francia, anche se non tutti i dati ne danno evidenza. Si dice che senza industria non c’è crescita, ma in pratica si fa veramente poco per aiutarla nel nostro Paese», è il commento di Francesco Daveri, professore di Macroeconomia all’Università Bocconi di Milano.



Quanto hanno influito il rallentamento della Germania e il contesto internazionale sul dato della nostra industria?

Certamente abbiamo sofferto il rallentamento tedesco, ma c’è una difficoltà a fare industria in Italia che ci viene ricordato da casi emblematici come quello dell’ex Ilva. Il contesto internazionale dovrebbe in ogni caso migliorare quest’anno con l’accordo Usa-Cina, sempre che i venti di guerra in Medio Oriente non si trasformino in qualcosa di più serio. Occorre quindi saper prendere al volo le opportunità. C’è una parte dell’industria italiana che è in grado di stare in piedi, soprattutto quella che ha fatturato principalmente all’estero, ma non riesce a trascinare la crescita di tutto il sistema.



A fine mese ci sarà un vertice di maggioranza: l’industria riceverà le giuste attenzioni?

A giudicare dalle agende che sembrano avere i singoli partiti della maggioranza non sembra, anche perché recentemente M5s e LeU sono tornati a parlare di articolo 18. Si può pensare che in una fase di difficoltà dell’economia la cosa più importante sia tutelare i posti di lavoro esistenti e difenderli con la baionetta, ma a mio avviso si tratta di una misura per un Paese che guarda indietro, che pensa che il peggio, e non il meglio, debba ancora venire, e che tenta quindi di proteggere quello che è rimasto.



Bisognerebbe invece guardare le cose in un’altra prospettiva?

Io spero che il meglio debba ancora venire e penso che l’Italia possa giocarsi le sue carte. Certo le nostre imprese non hanno praterie a disposizione per crescere senza essere sostenute. Non però con aiuti di Stato, ma tramite l’adozione di politiche che consentano di fare attività d’impresa in modo più snello e profittevole, offrendo anche supporto nelle fasi inevitabili di trasformazione e rapida innovazione tecnologica delle aziende a quanti perdono il lavoro in modo che possano essere ricollocati al più presto.

Per quest’anno c’è anche in programma un taglio del cuneo fiscale. Potrà essere d’aiuto?

In agenda c’è questo intervento, ma non è chiaro quante risorse ci siano a disposizione. Se non ci sarà un’azione più decisa di contenimento della spesa pubblica mi sembra difficile che si possa arrivare a una riduzione del cuneo fiscale che sia dell’entità che sarebbe richiesta per poter dare sia un sollievo ai lavoratori che al costo del lavoro delle imprese. Quindi 3 o 5 miliardi di euro possono essere un inizio, ma servirebbe molto di più. Occorrerebbe quindi tagliare la spesa dove si può e dove essa è inutile.

Che tipo di intervento si potrebbe mettere in atto per raggiungere questo scopo?

Le spese relative al funzionamento della Pubblica amministrazione non devono essere ridotte con il criterio del costo storico, ma occorre usare i costi standard in modo sostenibile, cioè confrontando regioni simili tra loro e cercando non di imporre le best practices, ma predisponendo una serie di incentivi e disincentivi per spingere le amministrazioni a fare meglio, in modo tale che ci sia la possibilità di risparmiare senza ridurre i servizi ai cittadini. I risultati saranno visibili nel medio lungo periodo, ma occorre iniziare un percorso.

Pensa che si dovrebbe potenziare o rendere strutturale Industria 4.0?

Per com’era stato pensato, il Piano Industria 4.0 doveva avere carattere temporaneo, anche perché un incentivo non può essere strutturale, altrimenti si perderebbe l’attrattività di anticipare un investimento per godere di un vantaggio. Se anziché una politica di incentivazione avessimo una politica di detassazione permanente certamente sarebbe meglio. Si potrebbero ridurre le imposte per chi fa attività di ricerca e sviluppo, innovazione, ecc., ma resta il problema delle risorse necessarie per finanziare un tale intervento: andrebbero ridotte delle spese per recuperarle.

(Lorenzo Torrisi)