Eticità e sostenibilità ambientale. Insieme a origine italiana, o ancor meglio locale, delle materie prime. Sono questi i fattori a spingere nel mercato nazionale l’espansione delle vendite alimentari Bio, protagoniste nel 2021 di un allungo del +5% rispetto al 2020, e ormai capaci di muovere un giro d’affari di 4,6 miliardi di euro. 



Le indicazioni arrivano dall’Osservatorio SANA, lo strumento di monitoraggio sulla filiera biologica curato da Nomisma, la cui ultima edizione è stata presentata durante “Rivoluzione Bio 2021”, l’evento protagonista del Salone Internazionale del Biologico e del Naturale, realizzato in collaborazione con FederBio e AssoBio, il sostegno di ICE Agenzia e la segreteria tecnico-scientifica di Nomisma. 



L’allungo di discount ed e-commerce

L’Osservatorio certifica insomma la vitalità del settore. E questo non soltanto in riferimento al ristretto confronto con lo scorso anno. Le vendite di prodotti Bio – dice lo studio – hanno registrato in un decennio una crescita più che significativa: +133% confrontando i valori 2021 rispetto a quelli del 2011. Un costante allungo, insomma, che ha portato alla costruzione di un mercato solido, poggiato principalmente su due cardini. Da un lato, i consumi fuori casa, che hanno beneficiato delle progressive riaperture di ristorazione e pubblici esercizi, del ritorno alla mobilità e della diminuzione dello smart working. E che nel 2021 hanno quindi potuto registrare un’accelerazione del +10% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, per un giro d’affari superiore ai 700 milioni di euro. Dall’altro lato, i consumi domestici, che rappresentano il segmento più importante della fruizione, complici i quasi 3,9 miliardi di euro di vendite registrati nel 2021, in incremento del +4% rispetto al 2020. Qui a recitare la parte del leone è la Distribuzione Moderna che rappresenta il canale d’acquisto prevalente: con i suoi 2,2 miliardi di euro di vendite (fonte: Nielsen, anno terminante luglio 2021) pesa infatti per il 56% sul totale dei consumi, spinta da un incremento del +2% rispetto al 2020. Un risultato premiante, frutto di dinamiche diverse: a fronte della confermata leadership di Iper+Super (1,4 miliardi di euro di vendite), emerge infatti l’avanzata di discount (205 milioni di euro; +11%) ed e-commerce (75 milioni di euro; 67%). Ma da segnalare è anche la performance degli Specialisti Drug che, nonostante una quota marginale (muovono 2 milioni di euro), segnano un deciso +63% rispetto allo scorso anno.



Alle spalle della Distribuzione Moderna si colloca poi la rete dei negozi bio specializzati (26% del totale delle vendite), con percentuali in crescita del+8% rispetto all’anno precedente e un fatturato vicino al miliardo di euro (996 milioni di euro). Terzo posto, infine, per gli altri canali di vendita (negozi di vicinato, farmacia, parafarmacie, mercatini, GAS…) che registrano un incoraggiante +5% rispetto al 2020 e vendite per oltre 720 milioni di euro.

I prodotti nel carrello

Ma quali sono le referenze bio maggiormente presenti nella lista della spesa degli italiani? La medaglia d’oro – dice l’Osservatorio – va alla drogheria alimentare, che rappresenta la prima categoria per vendite a valore di prodotti Bio nel canale della Distribuzione Moderna, con un’incidenza pari al 57% del totale (fonte: Nielsen, anno terminante luglio 2021). Pasta, prodotti da forno, conserve e sughi precedono dunque il fresco (formaggi, salumi, yogurt, uova), fermo al 21%, l’ortofrutta (12%), le bevande (6%), le carni e il freddo (entrambi al 2%). 

E va detto che quasi tutti questi comparti fanno registrare andamenti in crescita, con la sola eccezione di Freddo e Fresco, che segnano una flessione comunque contenuta (-0,2% il primo e -2,6% il secondo). 

Ma va anche detto che su tutte queste categorie pesa un criterio di acquisto capace di fare la differenza: la provenienza. Il 57% degli italiani dichiara infatti di comprare un prodotto Bio se gli ingredienti sono di origine italiana e il 37% se la sua provenienza è locale o a km 0. E a questa variabile se ne deve aggiungere anche un’altra: il packaging. Per il 69% dei consumatori, infatti la confezione dei prodotti biologici incorpora e trasmette perfettamente i valori del bio. Il pack deve pertanto essere riciclabile al 100% (28% dei consumatori), totalmente compostabile (10%) e fatto con materiali riciclati (11%), carta riciclata (4%) o plastica riciclata (3%). 

L’identikit del consumatore

A scegliere i prodotti bio – continua lo studio – è una platea piuttosto definita. La quota di consumatori abituali è innanzitutto maggiore dove i responsabili degli acquisti possiedono un reddito mensile e un titolo di studio medio-alti. Ma incide anche la composizione del nucleo familiare: in presenza di figli, infatti – in particolare minori di 12 anni -, la percentuale di user abituali cresce fino al 62%. Non ultimo, vanno considerate le abitudini alimentari: nelle famiglie in cui ci sono vegetariani o vegani il tasso di frequent user sale al 76%.

A spingere il consumatore verso il bio sono soprattutto i valori etici propri del biologico, primo fra tutti la sostenibilità: per il 39% degli italiani, infatti, il rispetto delle biodiversità, del suolo, del benessere animale e il giusto compenso dei lavoratori sono buoni motivi per comprare un prodotto alimentare di questo tipo.

E il bio ripaga la fiducia, rispondendo alle attese dei suoi estimatori: il 52% dei consumatori si dichiara infatti soddisfatto dell’offerta a scaffale. Un feeling che non è stato incrinato nemmeno dalla pandemia, dal momento che il 62% degli user Bio continua a comprare prodotti biologici nella stessa misura del periodo pre-Covid e il 25% ha addirittura aumentato la propria spesa in questa direzione, con un saldo positivo del 18% rispetto a quanti, invece, hanno ridotto il valore del biologico nel proprio carrello.

Una luna di miele, insomma, quella vissuta dal biologico e dal consumatore italiano, che spinge a prospettare nuove espansioni per il settore. Sul mercato interno – fa notare l’Osservatorio – ci sono del resto ancora ampi spazi di crescita della domanda: il consumo pro-capite annuo nel 2019 è infatti assestato a quota 60 euro, mentre in Francia e in Germania i valori toccano rispettivamente 174 e 144 euro (Fonte: Fibl). Le opportunità insomma non mancano. A patto però – avverte lo studio – che si sappia ben utilizzare la leva della comunicazione. Gli italiani infatti avanzano in questo senso precise richieste. Maggior informazioni devono innanzitutto essere rivolte alle nuove generazioni partendo dalla scuola, luogo privilegiato per trasferire l’importanza della sostenibilità (lo pensa il 24% degli intervistati) e per incrementare la consapevolezza del ruolo dei consumi alimentari nella salvaguardia della Terra e nel raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica. Ma sentita (la indica il 23% del campione) è anche la necessità di una campagna istituzionale di informazione che possa chiarire i benefici del metodo di produzione dell’agricoltura biologica per il pianeta e dei suoi prodotti per la salute e per gli aspetti nutrizionali.

Export: l’Italia tallona gli Stati Uniti

Fin qui, dunque, quanto avviene in Italia. Ma i conti del bio non sono postivi soltanto sul mercato nazionale. Anche i dati delle esportazioni Made in Italy segnano infatti numeri in crescita. La fotografia scattata dell’Osservatorio parla chiaro: nel 2021 le vendite di prodotti agroalimentari biologici sui mercati internazionali hanno toccato quota 2,98 miliardi di euro, mettendo a segno un incremento del +11% rispetto al 2020. Il bio è così arrivato a rappresentare il 6% dell’export agroalimentare. Una performance di tutto rispetto, tanto da portare l’Italia a piazzarsi al secondo posto nella classifica globale dei Paesi esportatori di prodotti bio, subito dopo gli Usa, leader con 2,91 miliardi di euro, e molto distante da tutti gli altri principali competitor (Spagna, Cina e Francia), che non raggiungono il miliardo di euro.

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