C’era una volta – più o meno cinquant’anni fa – quello noto come il vero “triangolo industriale” d’Italia, un’area vasta che comprendeva Milano, Torino e Genova, o meglio Lombardia, Piemonte e Liguria, pesata in quantità di addetti, il 48,8% del totale della manifattura. Era il mitico nordovest, mentre il nordest (il Triveneto con l’aggiunta dell’Emilia Romagna) risultava ancora in gestazione (22,1 % degli addetti totali), quasi una scommessa.
Appena dieci anni dopo – siamo negli Ottanta – quel triangolo era già cambiato, somigliando più a un poligono che inglobava anche Parma e il nordest, con Padova, e su fino a Trento. Per arrivare al 2015, con gli addetti del nordovest scesi al 36% e quelli del nordest saliti al 30,7%. Una metamorfosi, un travaso dovuto alle crisi delle grandi imprese (l’economia pubblica di Genova o quella privata della Fiat di Torino), e alle nuove performances dei territori, dei distretti, che a nordest si sono tradotti nelle città e nelle imprese diffuse, nella vocazione all’export, con l’aumento impressionante del valore aggiunto industriale: dal 23% al 30% dal 1980 al 2015. Adesso il nuovo rating di Eurostat accredita al Veneto due posizioni in più rispetto alla precedente valutazione (da ottava a sesta), includendolo tra le migliori regioni europee proprio per valore aggiunto industriale, insieme a Lombardia ed Emilia Romagna. E certificando l’odierno nuovo triangolo industrialmente virtuoso d’Italia.
Nel 2018 la Fondazione Edison forniva già dati significativi su questa geometria accertata dalle statistiche europee: le imprese facenti capo a Milano, Monza Brianza e Lodi (Assolombarda) valevano nel 2015 193 mila milioni di euro di Pil, con 2.290 mila occupati e (nel 2017) 54 mila milioni di euro di export. Le imprese di Treviso e Padova (Assindustria VenetoCentro) valevano 57 mila milioni di Pil, con 821 mila addetti e 22 mila milioni di export. Le imprese di Modena, Bologna e Ferrara (Confindustria Emilia) valevano 73 mila milioni di Pil, con 978 mila occupati e 28 mila milioni di export. Considerando il Pil complessivo delle sole province che si collocano agli estremi del triangolo, e tralasciando dunque il valore riferito alle province interne, il suo ammontare complessivo (pari a 323,7 mld di euro nel 2015) era superiore a quello della Danimarca. E considerando il valore aggiunto manifatturiero sempre delle province che si collocano agli estremi, il suo ammontare complessivo (53 mld di euro nel 2015) era superiore a quello del Belgio.
All’assemblea generale di Unindustria Treviso, nel 2018, la Presidente Maria Cristina Piovesana (poi nominata anche vicepresidente nazionale di Confindustria), in vista della fusione con la territoriale padovana, parlava del “ruolo fondamentale della costruzione, anche in Veneto, di quel vertice metropolitano in grado di chiudere l’ideale triangolo che ha già in Milano e Bologna due vertici molto competitivi e di grande attrattività. Il Veneto – sosteneva Piovesana – manca di una capitale economica, è disperso in una molteplicità di centri di media grandezza sprovvisti di una guida e di indirizzi unitari. È necessario dunque superare questa dispersione e lavorare per dare identità, unitarietà e governance a questo spazio metropolitano che sta tra Padova, Treviso e Venezia”.
“Il triangolo industriale italiano, costituito da Milano, Bologna e il Veneto Centrale – sosteneva un anno dopo, nel 2019, il Presidente della territoriale confindustriale padovana, Massimo Finco – è espressione delle tre regioni italiane che da tempo marciano a una velocità superiore a quella del Paese. Oggi più che mai diventa indispensabile affrontare la questione della centralità dell’impresa nello sviluppo non solo economico, ma anche sociale, civile e culturale del Paese. L’impresa deve essere fondamentale protagonista della nuova stagione di cambiamento. Il nostro Paese è oggi la seconda potenza manifatturiera dell’Europa”. Poco dopo si arrivò alla nascita di Assindustria VenetoCentro, un passo importante ed una strada segnata, che ha portato, un mese fa, alla nascita di Confindustria Veneto Est, l’unione delle rappresentanze di Padova, Treviso, Venezia e Rovigo.
Il tessuto industriale, dunque, e le sue espressioni si sintonizzano sulle configurazioni in continuo cambiamento, mettendo a profitto esperienze e competenze, in un fattore comune che mantenendo le peculiarità di ognuno agevola la crescita di tutti. Non si può dire lo stesso per la politica, che prosegue nella quasi totale mancanza di piani e visioni industriali di respiro, salvo le promesse regolarmente disattese. Il nuovo triangolo industriale d’Italia è una locomotiva che può muovere molti altri vagoni, ma per proseguire la sua strada (viste le incertezze dovute al conto energetico, all’inflazione, alla carenza di materie prime) ha bisogno di binari solidi, fatti di innovazione digitale, di infrastrutture moderne, di accompagnamenti formativi che costruiscano le skill indispensabili per garantire competitività, e quindi processi produttivi performanti e sostenibili.
Nelle distrazioni romane, ma anche nei progetti di autonomie locali, non s’intravvedono invece meccanismi adatti né a questi scopi, né a favorire il backshoring, la ricollocazione delle linee produttive entro i propri confini, un fenomeno nato durante la pandemia che andrebbe agevolato per aiutare la manifattura italiana.
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