La scorsa settimana Istat ci ha fornito alcuni dati che presentano più di una contraddizione: in un quadro di assenza di crescita (Pil attorno allo zero per tutto il 2019), è record per l’occupazione (59,4%), mentre ancora una volta la produzione industriale è in calo.
Mentre a livello europeo le economie avanzate si mantengono attorno al 75% di popolazione attiva effettivamente occupata (Germania, Francia, Svezia, Olanda, ecc.), il dato italiano sulla disoccupazione (9,7%) resta il terzo più alto dopo Grecia (16,8%) e Spagna (14,1%); la quota dei senza lavoro nell’Eurozona, invece è stabile al 7,5% (fonte Eurostat).
A parte l’anomalo “divorzio tra Pil e occupazione” – così lo ha chiamato Dario Di Vico sulle pagine del Corsera – che si spiega da una parte con fenomeni quali crollo di ore lavorate e part-time involontario e, dall’altra, con l’affermazione della gig economy, i dati sull’industria – non solo nostrani – ci dicono invece qualcosa anche per il futuro prossimo.
La produzione industriale, sempre secondo Istat, a novembre ha segnato “un lieve recupero congiunturale” salendo dello 0,1% rispetto a ottobre, dopo due mesi di cali. Su base annua però si continua a registrare una flessione, con l’indice che scende dello 0,6%. La produzione industriale italiana nel 2019 si può quindi considerare negativa: considerando il periodo che va da gennaio a novembre, ha visto, infatti, segnare una flessione dell’1,1% rispetto allo stesso periodo del 2018. Vi è un significativo calo nel settore energetico (-2,1%) e dei beni di consumo (-0,2%). Positivi invece gli andamenti congiunturali registrati per i beni intermedi (+0,7%) e quelli strumentali (+0,8%). Su base annua, però, a crescere è solo il comparto dei consumi (+0,8%) mentre una marcata flessione contraddistingue l’energia (-3,9%).
Nel dettaglio, a confronto con novembre del 2018, segna una crescita la fabbricazione di computer, prodotti di elettronica e ottica (+8,1%), l’industria di legno, carta e stampa (+7,0%) e la chimica (+2,9%). Le flessioni più ampie si registrano invece nel tessile (-5,4%), nella fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-5,3%) e nella metallurgia (-4,9%). Secondo Istat, la debolezza dei livelli produttivi proseguirà.
Nel mentre, produzione industriale in Germania registra un balzo a sorpresa: +1,1% della maggiore economia europea nell’ultimo trimestre del 2019. L’incremento è stato spinto soprattutto dalle imprese manifatturiere e dal settore delle costruzioni. Le attese degli analisti erano per una crescita più contenuta, comunque non superiore allo 0,8%.
C’è chi attribuisce a fattori endogeni – imprese lente nel processo di innovazione – la contrazione dell’economia tedesca esplosa nel 2019 in modo così preoccupante. Non sono tuttavia da trascurare aspetti del tutto esterni imputabili all’inasprimento dei dazi commerciali americani e cinesi. L’Europa è la più colpita anche perché Usa e Cina fanno accordi. Resta il fatto che nel futuro prossimo le grandi catene del valore saranno sempre quelle: Usa, Cina e Germania.
Guardiamo quindi con interesse a questo segnale che arriva dalla Germania, anche perché – nella difficoltà che il nostro Paese ha nell’implementare politiche economiche – può essere proprio la locomotiva teutonica a far ripartire, in particolare, il nostro manufacturing.
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