Se nulla cambierà, dal 1° gennaio 2022 entrerà in vigore la Sugar tax. Pensata per salvaguardare salute e benessere dei cittadini, favorendo un’alimentazione sana ed equilibrata, la norma prevede un incremento della fiscalità sulle bevande analcoliche del 28%. Una vera e propria stangata per il settore, che allarma tanto Assobibe, associazione di Confindustria cui fanno capo i produttori di bevande analcoliche, quanto Confagricoltura. A preoccupare sono, in particolare, “i riflessi penalizzanti che la legge potrebbe avere sui consumi, con ripercussioni negative su ogni anello della filiera legate alle minori attività e conseguente rischio di perdita di posti di lavoro”.
Non solo teoria, visto che il timore è corroborato anche dai dati emersi da un’indagine condotta ad hoc da Nomisma per conto di Assobibe dal titolo “Il settore delle bevande analcoliche in Italia nell’era post Covid”. “Lo studio – spiega Giangiacomo Pierini, Presidente di Assobibe – dimostra gli effetti devastanti, economici e sociali, dell’introduzione di un’imposta del valore di 10 euro/ettolitro in un momento già così incerto Anziché facilitare crescita e occupazione, con l’introduzione della Sugar tax nel 2022 si avrà una contrazione del 16% del mercato a volume”. Tradotto in altri termini, mancheranno all’appello “180 milioni di euro di fatturato rispetto al 2019 – afferma Pierini – e 344 milioni di euro se consideriamo la perdita di giro d’affari nel 2023 rispetto al 2019”. E non è tutto. “Togliere liquidità alle imprese con una nuova gabella da versare a fine mese – continua Pierini – si tradurrà in maggiori difficoltà e minori investimenti. Un trend nefasto che affosserà la ripresa e il ritorno ai consumi pre-Covid previsti a fine biennio 2022-2023”.
Le previsioni sono infatti impietose: la tassa, che si abbatterà su un settore già fortemente penalizzato dalla pandemia e dalle chiusure di bar e ristoranti, determinerà nel 2020 una contrazione del fatturato pari al 10%, mettendo a rischio oltre 5mila posti di lavoro. Il suo impatto sui consumi sarà, del resto, piuttosto netto: le proiezioni presentate dalle due associazioni nel corso della ventesima edizione di Cibus – il Salone internazionale dell’alimentazione tenutosi Parma dal 31 agosto al 3 settembre scorsi – parlano di una contrazione in termini quantitativi del 17% delle vendite a livello domestico (-12% per le bevande gassate e -30% per quelle non gassate), con conseguenti ricadute sugli operatori della distribuzione. E le nuvole non mancheranno di addensarsi neppure sul canale “fuori casa” dove è prevista una flessione del 9%, con riflessi negativi su grossisti, distributori e punti vendita.
A risentire maggiormente degli impatti socio-economici della Sugar tax saranno le Pmi, che rappresentano ben il 64% delle aziende totali del settore. Ma non rimarranno illese neppure le aziende della filiera: i fornitori vedranno infatti un calo di acquisti di materie prime food e non food per 250 milioni, con ripercussioni importanti anche a livello territoriale, in particolare per regioni come Sicilia e Calabria, da cui principalmente l’industria acquista la frutta. E in questo scenario – fanno notare le due associazioni – potrebbe delinearsi il pericolo che le aziende siano costrette ad approvvigionarsi dall’estero a minor costi rispetto a quelli nazionali.
Ma la lista delle criticità non si ferma qui. “La Sugar tax – afferma il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti – rischia di dare il colpo di grazia al comparto saccarifero nazionale, già fortemente danneggiato dalla liberalizzazione delle quote, che ha contribuito alla decimazione del numero di imprese e di zuccherifici. La tassa andrebbe infatti a ripercuotersi direttamente sulla filiera dei succhi di frutta italiani, aprendo la strada al Nutriscore, il sistema di etichettatura basato esclusivamente su quantità standard di assunzione, senza tenere conto della qualità e della tipicità di bevande e cibi”.
Le previsioni, insomma, non sono confortanti. “Lo scenario che ci attende nei prossimi mesi è molto incerto a causa degli effetti della pandemia – conclude Pierini -. L’aggiunta della nuova tassazione produrrà ulteriori effetti negativi sul mercato. Che si possono però evitare con un ripensamento del Governo. Non possiamo permettere che una tassa – che, come dimostrato nei Paesi in cui è in vigore, non ha reali effetti benefici per la salute – affossi completamente un settore economico radicato su tutto il territorio nazionale, ricco di Pmi fortemente collegate alla filiera nazionale e di prodotti espressione del made in Italy come aranciate, limonate, gassose, cedrate, spume, chinotti”. E da qui l’appello alle istituzioni. “Le imprese – conclude Pierini – chiedono interventi per essere aiutate a uscire dalla crisi e recuperare i livelli pre-pandemia, senza ulteriori nuovi ostacoli. In due parole, lasciateci lavorare per non scomparire”.