STOCCARDA – Una delle prime decisioni che attendono il Governo Scholz riguarda la tempistica di phase-out delle centrali nucleari ancora in funzione. Sull’onda dell’incidente all’impianto di Fukushima (2011), il Governo tedesco di allora (Merkel 2) decise l’uscita progressiva dal nucleare. Attualmente in Germania sono rimasti in rete tre reattori nucleari, che secondo l’Atomgesetz dovranno essere spenti entro la fine del 2022. La circostanza offre lo spunto per fare alcune considerazioni sulla politica energetica della prima economia europea.
Per capire le intenzioni del Governo, è utile dare un’occhiata al contratto di coalizione, intititolato “Osare maggior progresso”. La parola chiave è “economia di mercato socio-ecologica”, uno slogan che unisce i tre partiti della coalizione: i liberali (economia di mercato), i socialdemocratici (socio), i verdi (ecologica). La nuova dizione, che rappresenta un upgrade della tradizionale “economia sociale di mercato”, è d’altra parte compatibile anche con il partito Unione CDU-CSU, cosa essenziale per garantire al programma un orizzonte temporale proiettato anche oltre il Governo attuale. Ecco il passaggio fondamentale sulla politica energetica.
“La nostra missione è accelerare drasticamente l’espansione delle energie rinnovabili rimuovendo tutti gli ostacoli burocratici. Il nostro obiettivo sulle rinnovabili fa riferimento ad una maggiore domanda lorda di elettricità di 680-750 TWh nel 2030. L’80% di questo fabbisogno dovrebbe essere coperto da energie rinnovabili. L’espansione della rete verrà accelerata di conseguenza, adeguando dinamicamente i volumi delle gare annuali”.
Il piano è quindi uscire rapidamente dal nucleare e dal carbone, spingendo il pedale sull’acceleratore delle energie rinnovabili (e dell’idrogeno). L’industria viene esortata a compiere un profondo processo di trasformazione, restando competitiva a livello internazionale. La transizione sarà resa meno traumatica con qualche aiutino da parte del Governo, a cui del resto, come noto, i soldi non mancano.
Per il ministro dell’Economia e del Clima, il verde Robert Habeck, è giunto il momento di passare dalle promesse ai fatti concreti. Secondo una stima della BDEW (Associazione Federale per la gestione dell’Energia e delle Acque), per raggiungere l’obiettivo dell’80% saranno necessarie circa 16.000 nuove turbine eoliche entro il 2030. Le previsioni di Habeck, che ipotizzano un aumento di efficienza degli impianti, sono un po’ meno sfidanti (1.000-1.500 turbine eoliche all’anno), ma in ogni caso si tratta di una sfida epocale. Nella prima metà del 2021 sono stati allacciati alla rete 240 nuovi impianti: in futuro queste cifre dovranno triplicare (fonte: Tagesspiegel).
Un ulteriore problema, che prescinde dal rispetto del rollout, è rappresentato dal fatto che eolico e solare sono caratterizzati da notevoli fluttuazioni stagionali: un aumento della quota di queste rinnovabili porterebbe a un aumento dell’ampiezza delle oscillazioni. Per garantire una fornitura costante di energia elettrica, sarà necessario disporre di soluzioni di storage di capacità adeguata, che potrebbero rivelarsi di difficile realizzazione.
Anche alcune parti della Natura non sembrano guardare alle pale eoliche con particolare favore. Negli ultimi anni, pare che molti grandi uccelli (aquile, falchi), che vivevano nel Nord della Germania, abbiano deciso di trasferirsi nel Baden-Wùrttemberg, uno dei Bundeslaender con i canoni di affitto più alti, ma con la più bassa densità di installazioni eoliche. Difficile sapere se i volatili siano più offesi dall’impatto estetico, disturbati dai segnali acustici emessi dai rotori, o preoccupati per la propria incolumità.
Nel frattempo il partner europeo Macron sembra avere altre idee. “Se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto”. Tradotto in francese: “Se non riusciamo a produrre energia verde, chiamiamo verde l’energia che produciamo”. La proposta di classificare l’energia nucleare come “sostenibile” nella tassonomia Ue va in questa direzione: secondo alcuni, si tratterebbe di un esempio di “Greenwashing” (riciclaggio di energia sporca), pratica esplicitamente ripudiata nel contratto della Ampelkoalition. Il conflitto fra l’interesse dell’asse franco-tedesco e quello dei Verdi potrebbe rappresentare un primo importante stress test per il Governo Scholz.
Il cronoprogramma della “Energiewende” (svolta energetica) è oggetto di acceso dibattito sia in patria che all’estero. Secondo alcuni osservatori (Hans-Werner Sinn, ex presidente IFO, ad esempio), si tratta di un piano di difficile se non impossibile attuazione, che potrebbe indebolire la competitività dell’industria tedesca in una fase cruciale della competizione globale. Secondo altri (Dario Fabbri di Limes, ad esempio), l’eccessiva attenzione ai temi ambientali rispecchia la postura geopolitica della Germania post-bellica, che rifugge i doveri di una grande potenza e preferisce trastullarsi in fantasie romantiche tardo-adolescenziali.
Comunque la si pensi, bisogna ammettere che si tratta di una strategia coraggiosa e dai tratti idealistici. La Germania sa che da sola non può salvare il mondo dalla catastrofe ambientale incombente. Crede però nella frase di Gandhi “Be the change you want to see in the world”: dare l’esempio che un grande Paese industriale può diventare energeticamente sostenibile, senza perdere lo status di potenza industriale, potrebbe convincere gli altri Paesi a fare altrettanto. E questo potrebbe davvero salvare il mondo.
Esiste però un altro motivo per cui la trasformazione in un’economia di mercato socio-ecologica potrebbe essere una buona idea. Costringere l’industria a lavorare con dei vincoli (utilizzo di energia verde, o costi dell’energia più elevati) potrebbe rendere la stessa ancora più forte e competitiva nel lungo periodo. Qualcosa di simile è accaduto in passato con la valuta. Avendo avuto per decenni una valuta forte (il Marco) che penalizzava l’export, l’industria tedesca è stata costretta a migliorare la qualità dei prodotti per mantenere le quote di mercato. Quando il Marco è stato sostituito da una valuta più debole (l’Euro), l’export tedesco è esploso.
La stessa cosa potrebbe accadere anche con la svolta energetica. Se la Germania riesce a rendere la propria economia clima-neutrale, potrebbe trovarsi in una posizione di vantaggio fra vent’anni, quando la svolta diventerà ineludibile anche per gli altri Paesi del mondo, che nel frattempo avranno mostrato minor solerzia. Senza contare i vantaggi derivanti dall’indipendenza da uranio e combustibili fossili. Certo, ci sono dei rischi, ma sono rischi ben calcolati.
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